Il dies a quo del termine di decadenza dalla garanzia per i vizi prevista dall’art. 1669 c.c.

Il dies a quo del termine di decadenza dalla garanzia per i vizi prevista dall’art. 1669 c.c.
02 Aprile 2019: Il dies a quo del termine di decadenza dalla garanzia per i vizi prevista dall’art. 1669 c.c. 02 Aprile 2019

Le cause del nostro studio

La sentenza n. 493/2019 della Corte d’appello di Venezia  ha affrontato, in termini insolitamente realistici ed anticonvenzionali, il tema dell’individuazione del dies a quo del termine di decadenza dal diritto al risarcimento dei danni da rovina e gravi difetti previsto dall’art. 1669 c.c..

La “scoperta” dei vizi, dal quale inizia a decorrere il termine in questione, viene identificata non già con la loro mera percezione, ma con la conoscenza della loro natura, causa e imputabilità.

Con la conseguenza che, come ricorda la motivazione della sentenza, il predetto termine  vien fatto decorrere “dal giorno in cui il committente (o l'acquirente) abbia conseguito un apprezzabile grado di conoscenza obbiettiva della gravità dei difetti stessi e della loro derivazione eziologica dall'imperfetta esecuzione dell'opera (per tutte si veda Cass. Ord. n. 24486 del 17/10/2017)”, conoscenza che sovente viene derivata dall’espletamento di “un’indagine tecnica di parte”, se con addirittura da un accertamento tecnico preventivo.

Nel caso esaminato, relativo a “macchie di umidità/muffe” comparse nelle pareti di un’unità immobiliare abitativa, osserva la Corte che, a questo fine, il danneggiato aveva “fatto riferimento alla data della perizia di parte del 23.3.2009… nel qual caso effettivamente non sarebbero maturate decadenza e prescrizione”.

Tuttavia, osserva il Collegio giudicante, la predetta perizia di parte era “stata fatta eseguire dal [danneggiato] quattro anni e mezzo dopo l’acquisto” dell’immobile, durante i quali costui si era astenuto dall’inviare una qualsiasi denuncia dei vizi al venditore.

Ciò nonostante si fosse “in presenza di manifestazioni dei vizi via via aumentate … (nell’atto di citazione di primo grado si afferma che le prime manifestazioni si sono avute “successivamente” all’acquisto dell’immobile, senz’altra specificazione)”.

Afferma la Corte d’appello che, in assenza “di prova di quando le macchie e muffe in questione hanno iniziato a manifestarsi, in maniera significativa, ancorare la maturazione del termine di decadenza e di prescrizione a un mero atto di impulso del [danneggiato] di richiedere l’esecuzione di una perizia tecnica, finirebbe per frustare la ratio dell’art. 1669 cc in tema di decadenza e prescrizione” .

Infatti, va considerato che l’appellante ha affermato che i vizi in esame hanno iniziato a manifestarsi successivamente all’acquisto, con aumento progressivo. Ma in sede di CTU, espletata nel corso dell’anno 2010, il fenomeno relativo alla presenza di macchie di umidità/muffe è stato riscontrato con manifestazioni limitate e modeste. Se, dunque, tale era lo stato dell’immobile al momento dell’accesso del CTU, avvenuto a quasi cinque anni di distanza dall’acquisto dell’immobile, non è verosimile pensare – stante l’affermato aggravamento progressivo nel tempo del fenomeno, comunque all’epoca della CTU di modesta entità - che l’apprezzamento dello stesso da parte del [danneggiato], con la necessità di chiedere l’espletamento di una perizia di parte, sia avvenuto solo nel marzo 2009”.

Il che ha indotto la Corte territoriale a ritenere che il primo atto interruttivo del predetto termine di decadenza, vale a dire una “missiva di contestazione dei vizi del 30.3.2009”, fosse intervenuta quando orami il termine annuale decadenza si era compiuto, stante l’”evidenza” dei vizi e l’ovvietà della loro imputabilità al venditore.

In effetti, la tradizionale interpretazione giurisprudenziale del primo comma dell’art. 1669 c.c. se per un verso valorizza la necessità di non esporre “il danneggiato della proposizione di azioni generiche a carattere esplorativo”, esigendo quindi che la “scoperta” dei vizi implichi la conoscenza delle loro causa, per un altro offre il destro a difese di comodo, dirette a posdatare ad libitum del danneggiato il dies a quo del suddetto termine decadenziale.

Ed, infatti, a questo riguardo la giurisprudenza di legittimità ha più volte ammonito che l’anzidetta nozione di “scoperta” dei vizi “non significa che il ricorso a un accertamento tecnico possa giovare al danneggiato quale escamotage onde essere rimesso in termini, quando avesse avuto già conoscenza della entità e delle cause del vizio, ma solo che compete al giudice del merito accertare se la conoscenza dei vizi e della loro consistenza fosse stata tale da consentire una loro consapevole denuncia prima e una non azzardata iniziativa giudiziale poi, anche in epoca precedente, pur senza l'ulteriore supporto del parere di un perito” (Cass. civ. n. 21089/2012).

Pertanto, anche in presenza di un accertamento tecnico (di parte o giudiziale), il giudice del merito, quando ve ne siano i presupposti di fatto, deve accertare se la “scoperta” dei vizi, intesa nell’anzidetto significato, debba farsi risalire ad una data anteriore a questa.

E’ ciò che ha fatto la Corte veneta, sulla base di un ragionamento presuntivo dedotto dalla natura e morfologia dei vizi denunciati (modeste macchie d’umidità e muffe) e del lasso di tempo decorso tra l’acquisto dell’unità immobiliare e il primo atto interruttivo del citato termine decadenziale, intervenuto a quattro anni e mezzo di distanza.

 

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