La Cassazione fa chiarezza sulla natura e sulle categorie del “danno da morte causato da lesioni personali” e sull’”apprezzabile lasso di tempo”

La Cassazione fa chiarezza sulla natura e sulle categorie del “danno da morte causato da lesioni personali” e sull’”apprezzabile lasso di tempo”
02 Aprile 2019: La Cassazione fa chiarezza sulla natura e sulle categorie del “danno da morte causato da lesioni personali” e sull’”apprezzabile lasso di tempo” 02 Aprile 2019

E’ indiscutibile che in tema di danni da morte causata da lesioni personali che non si verifichi istantaneamente regni una rimarchevole confusione non solo terminologica.

Come afferma l’ordinanza n. 32372/2018 della Suprema Corte, che si è proposta di far chiarezza in materia, a ciò hanno contribuito non poco “le varie espressioni coniate in tema di danno non patrimoniale dalla fantasia di taluni interpreti, e talora non rifiutate da questa Corte ("danno terminale", "danno tanatologico", "danno catastrofale", "danno esistenziale")” e che tuttavia “ non hanno alcuna dignità scientifica;  sono usate in modo polisemico; sono talora anche etimologicamente scorrette (come l'espressione "danno tanatologico")”, ciò che “impedisce qualsiasi seria dialettica… in assenza di un lessico condiviso”.

Secondo questa pronuncia “le espressioni "danno terminale", "danno tanatologico", "danno catastrofale" non corrispondono ad alcuna categoria giuridica, ma possono avere al massimo un valore descrittivo, e neanche preciso”.

La Corte si è, dunque, prefissa di ricostruire il contenuto delle specifiche voci di danno che possono ricorrere in questa ipotesi, e le loro caratteristiche, astenendosi volutamente dall’”etichettarle”, attribuendo loro una denominazione.

Andando alla sostanza delle cose, la sentenza premette che “la persona che, ferita, sopravviva quodam tempore, e poi muoia a causa delle lesioni sofferte, può patire un danno non patrimoniale” suscettibile di “manifestarsi in due modi”, il primo consistente nella “lesione della salute” ed il secondo nel “turbamento dell’animo” e nella “sofferenza derivanti dalla consapevolezza della morte imminente” (cui, per la verità, pare doversi aggiungere la sofferenza fisica causata dalle lesioni).

Questi due pregiudizi, entrambi di carattere non patrimoniale, si differenziano per la rispettiva “consistenza reale: infatti il primo (lesione della salute):

-) ha fondamento medico legale;

-) consiste nella forzosa rinuncia alle attività quotidiane durante il periodo della invalidità;

-) sussiste anche quando la vittima sia stata incosciente.

Il secondo, invece:

-) non ha fondamento medico legale;

-) consiste in un moto dell'animo;

-) sussiste solo quando la vittima sia stata cosciente e consapevole”.

La sentenza, poi, ulteriormente precisa che “il danno alla salute che può patire la vittima di lesioni personali, la quale sopravviva quodam tempore e poi deceda a causa della gravità delle lesioni, dal punto di vista medico-legale può consistere solo in una invalidità temporanea, mai in una invalidità permanente”, poiché quest’ultima consegue necessariamente alla “cessazione d’una malattia” (più propriamente, alla guarigione del leso), ciò che non avviene “se la malattia dovesse condurre alla morte [e non alla guarigione] l’ammalato”.

Perciò “nel caso di morte causata da lesioni personali, sopravvenuta a distanza di tempo da queste, un danno biologico permanente è inconcepibile”, mentre per aversi un “danno biologico temporaneo… sarà necessario che la lesione della salute si sia protratta per un tempo apprezzabile, perché solo un tempo apprezzabile consente quell' "accertabilità medico legale" che costituisce il fondamento del danno biologico temporaneo” e “normalmente tale "lasso apprezzabile di tempo" dovrà essere superiore alle 24 ore, giacché come accennato è il "giorno" l'unità di misura medico legale della invalidità temporanea; ma in astratto non potrebbe escludersi a priori l'apprezzabilità del danno in esame anche per periodi inferiori” (postulato questo che, invero, la Suprema Corte non motiva).

Con la precisazione che tal genere di danno “sarà risarcibile a prescindere dalla consapevolezza che la vittima ne abbia avuto, dal momento che quel pregiudizio consiste nella oggettiva perdita delle attività quotidiane”.

Con riguardo, invece, al diverso danno costituito dalla “consapevolezza di dover morire”, con le conseguenti sofferenze che la sentenza esemplifica, la sentenza evidenziache “presuppone che la vittima sia cosciente”, perché altrimenti “non sarebbe concepibile“ che possa prefigurarsi la “fine imminente… e addolorarsi per essa”.

Viene, inoltre, precisato che “la durata della sopravvivenza non è un elemento costitutivo del danno, né incide necessariamente sulla sua gravità”, con la conseguenza che “anche una sopravvivenza di pochi minuti, infatti, può consentire alla vittima di percepire la propria fine imminente, mentre - al contrario - una lunga sopravvivenza in totale stato di incoscienza non consentirebbe di affermare che la vittima abbia avuto consapevolezza della propria morte”.

Venendo al caso concreto, e con riguardo al “danno alla salute” che i ricorrenti lamentavano non esser stato liquidato, in relazione ad una sopravvivenza di sole 2 ore, la Cassazione ne ha disatteso le critiche, ritenendo che esattamente la Corte lo avesse escluso “giacché per quanto detto l'esistenza d'un danno biologico temporaneo non può presumersi sol perché la vittima di lesioni non sia deceduta illico et immediate”.

In proposito essa cita i suoi più recenti precedenti che avevano stabilito un’analoga esclusione per altri casi in cui la sopravvivenza era stata di 4 ore (Cass. civ. n. 11251/2018), di 3 giorni (n. 6691/2018), di 9 giorni (n. 3424/2018).

La Corte ha parimenti respinto la censura attinente al “danno “morale” patito dalla vittima primaria”, atteso che questa “giunse in ospedale con "midriasi fissa" (vale a dire con pupille non reagenti alla luce); "polso filiforme" (indicativo di un collasso cardiocircolatorio); "dispnea" (vale a dire con respirazione difficoltosa)” ed ivi “venne sottoposta ad un intervento chirurgico, il quale non poté ovviamente che avvenire in stato di sedazione”, rimanendo, quindi, sempre in stato di incoscienza (conforme: Cass. civ. n. 909/2018).

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