Per la Cassazione la gelosia non è un “futile motivo”

Per la Cassazione la gelosia non è un “futile motivo”
07 Dicembre 2018: Per la Cassazione la gelosia non è un “futile motivo” 07 Dicembre 2018

IL CASO. Il G.I.P. del Tribunale di Napoli aveva ritenuto Tizio responsabile di “tentato omicidio” nei confronti del presunto amante della sua compagna Caio, “aggravato dai motivi futili, ed al reato di porto fuori della propria abitazione di coltello”, condannandolo, “concesse le circostanze attenuanti generiche equivalenti alla contestata aggravante, ritenuta la continuazione tra i reati e tenuto conto della diminuente per il rito, alla pena di anni sei di reclusione”.

La Corte d’appello di Napoli aveva riformato la sentenza anzidetta, ritenendo “configurabili il tentato omicidio, sia sotto il profilo dell'elemento oggettivo che soggettivo, e l'aggravante dei futili motivi” ed escludendo “la legittima difesa anche nella forma putativa e come eccesso colposo”.

Aveva, quindi, ridotto la pena inflitta a Tizio “ad anni cinque di reclusione”.

Avverso la decisione della Corte d’appello di Napoli l’imputato aveva proposto ricorso per cassazione, in base a due motivi.

In particolare, col secondo aveva denunciato “violazione di legge e vizio di motivazione per il mancato riconoscimento della circostanza attenuante della provocazione (art. 62 c.p., n. 2) e per la mancata esclusione dell'aggravante dei futili motivi ex art. 61 c.p., n. 1.”.

Infatti, aveva censurato la sentenza della Corte d’appello di Napoli laddove questa aveva “affermato, senza motivare sul punto, che la sproporzione tra il fatto ingiusto altrui e la condotta ascrivibile al ricorrente assurga a condizione ostativa dell'invocata attenuante”.

Inoltre, “secondo il prevalente orientamento della giurisprudenza di legittimità il concetto di abietto non può ‘riferirsi ai sentimenti di affetto o di amore propri di ogni essere umano’ e … pertanto, nel caso in esame, andava esclusa l'aggravante dei futili motivi per essere l'agire del ricorrente ispirato ai sentimenti di affetto e di amore coltivati nei confronti dei componenti del proprio nucleo familiare, di cui vedeva insidiate la stabilità del rapporto di coppia e le future prospettive di crescita della prole, e per non potersi affermare che l'azione criminosa costituisca un mero e banale pretesto per dare sfogo ad una genetica aggressività dell'imputato, anche considerata l'assenza di precedenti di polizia e penali a suo carico”.

LA DECISIONE. La Corte di Cassazione penale, n. 49129/2018, ha accolto il ricorso “in relazionealla doglianza relativa alla mancata esclusione dell'aggravante dei futili motivi ex art. 61 c.p., n. 1”.

Nel farlo, ha colto l’occasione per affermare che “la circostanza aggravante dei futili motivi sussiste ove la determinazione criminosa sia stata indotta da uno stimolo esterno di tale levità, banalità e sproporzione, rispetto alla gravità del reato, da apparire, secondo il comune modo di sentire, assolutamente insufficiente a provocare l'azione criminosa e da potersi considerare, più che una causa determinante dell'evento, un mero pretesto per lo sfogo di un impulso violento”.

Ciò che, ad avviso della Corte di Cassazione, non poteva dirsi nel caso di specie, perché “a fondamento del litigio [di Tizio con Caio] vi sarebbe [stata] la gelosia per la propria compagna e madre della propria figlia, di cui quest'ultimo sarebbe [stato] l'amante”.

Pertanto, “non [poteva] parlarsi di spinta al reato priva di quel minimo di consistenza che la coscienza collettiva esige per operare un collegamento logicamente accettabile con l'azione commessa, in guisa da risultare assolutamente sproporzionata all'entità del fatto e rappresentare, più che una causa determinante dell'evento, un mero pretesto, un'occasione per l'agente di dare sfogo al suo impulso criminale”.

Infatti, per giurisprudenza “consolidata” di legittimità “non può configurare motivo abbietto o futile la sola manifestazione per quanto parossistica e ingiustificabile di gelosia, che, collegata ad un sia pur abnorme desiderio di vita in comune, non è espressione di per sé di spirito punitivo nei confronti della vittima considerata come propria appartenenza, della quale pertanto non può tollerarsi l'insubordinazione".

Tuttavia, “a tale rigoroso quadro di principi non si [era] attenuta” la sentenza della Corte d’appello di Napoli, che aveva, invece, ravvisato “il futile motivo, affermando che l'interesse dell'imputato a salvare la propria relazione con la convivente e comunque il proprio nucleo familiare contro l'interferenza di [Caio] non [erano] tali da ritenersi esimenti dei futili motivi contestati [a Tizio]”.

Pertanto, la Corte di Cassazione ha concluso per l’annullamento dell’impugnata pronuncia che, “pur valorizzando il movente della gelosia, [aveva] ravvisa[to] la suddetta circostanza aggravante”.

Altre notizie