Per la Cassazione l’assegnatario della casa familiare (convivente col figlio maggiorenne non autosufficiente) deve riproporre la domanda nel giudizio di divorzio

Per la Cassazione l’assegnatario della casa familiare (convivente col figlio maggiorenne non autosufficiente) deve riproporre la domanda nel giudizio di divorzio
07 Giugno 2019: Per la Cassazione l’assegnatario della casa familiare (convivente col figlio maggiorenne non autosufficiente) deve riproporre la domanda nel giudizio di divorzio 07 Giugno 2019

IL CASO. Il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, nel pronunciare il divorzio tra Tizio e Caia, tra le altre condizioni aveva assegnato la casa coniugale all’ex moglie, in quanto convivente con uno dei due figli, Sempronio, maggiorenne ma non autosufficiente.

La Corte d’appello aveva revocato l’assegnazione della casa familiare a Caia, perché, “pur essendo emerso che [l’altro figlio, Mevio] [aveva] ripreso a convivere con la madre, non risulta[va] formulata [da Caia] nel giudizio di primo grado alcuna specifica istanza di assegnazione della casa familiare, nonostante una precedente ordinanza di revoca dovuta alla coabitazione di [Mevio] con l’altro fratello [Sempronio] per un periodo circoscritto. La riassegnazione è stata dunque un provvedimento del giudice di primo grado assunto extra petita”.

Avverso questa pronuncia Tizio aveva proposto ricorso per cassazione, in base a sei motivi.

Caia aveva resistito con controricorso e ricorso incidentale.

In particolare, la Corte di Cassazione era stata interessata della “violazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 111 Cost., per avere la Corte d’Appello erroneamente rilevato il vizio di extra petizione in relazione alla domanda di assegnazione della casa familiare” a Caia, in quanto “la assegnazione era stata disposta con l’ordinanza presidenziale nel giudizio separativo ed era stata confermata in sentenza. Ne conseguiva che nel giudizio di cessazione degli effetti civili del matrimonio [Caia] era già beneficiaria della casa familiare e non aveva l’obbligo di reiterare la richiesta”.

LA DECISIONE. La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 10204/2019, ha rigettato sia il ricorso principale, che quello incidentale.

Nel farlo, la Suprema Corte ha effettuato una puntuale disamina dell’istituto dell’assegnazione della casa familiare.

Ha “preliminarmente” individuato la questione sottoposta al suo vaglio:

La parte controricorrente [Caia] afferma espressamente di non aver riproposto nel giudizio di divorzio la domanda relativa all’assegnazione della casa familiare. Tale affermazione coincide con l’esame dei fatti processuali relativi a tale giudizio ed il rilevato vizio di extra petizione viene, fondato proprio sulla riscontrata assenza di tale domanda. Nella parte della sentenza impugnata dedicata allo svolgimento del precedente grado di giudizio viene rilevato dalla Corte territoriale che vi era una domanda di revoca dell’assegnazione della casa familiare formulata [da Tizio] ma non una richiesta di conferma della corrispondente statuizione assunta nel giudizio separativo”.

La Corte ha precisato che “la valutazione della correttezza del rilievo dell’extrapetizione, richiede[va], tuttavia, che [venisse] esaminata la funzione del provvedimento di assegnazione della casa familiare, così come voluto dal legislatore e dalla giurisprudenza, in correlazione con la peculiare condizione giuridica del figlio maggiorenne ma non ancora autosufficiente (totalmente o parzialmente)”.

Ciò che ha fatto, con un’argomentazione didascalica, che vale la pena riportare integralmente:

La L. n. 898 del 1970, art. 6, comma 6, stabilisce il criterio, di carattere sostanziale, sulla base del quale il giudice deve provvedere all’assegnazione della casa coniugale.

La norma contiene una disciplina analoga a quella generale prevista nell’art. 337 sexies c.c..

La giurisprudenza di legittimità ha integrato il parametro legislativo ancorando il godimento della casa familiare esclusivamente al regime di affidamento e collocamento dei figli minori.

Per quelli maggiorenni non autosufficienti, è necessaria la prosecuzione della coabitazione del genitore assegnatario e del figlio del predetto immobile (Cass.1545 del 2006; 18440 del 2013; 25604 del 2018).

Nessuna delle due norme contiene indicazioni utili in relazione alla necessità che la statuizione sull’assegnazione della casa familiare debba essere fondata sulla formulazione di una domanda, in ossequio al principio dispositivo, o possa essere adottata anche officiosamente in funzione del rilievo pubblicistico dei diritti in gioco.

L’esegesi testuale delle norme e l’elaborazione giurisprudenziale postulano l’indisponibilità e l’irrinunciabilità del diritto al godimento della casa familiare in capo al genitore affidatario in relazione ai figli minori.

L’art. 337 ter c.c., comma 2 impone al giudice di adottare i provvedimenti relativi ai figli minori con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale degli stessi.

L’assegnazione della casa familiare ne costituisce una componente essenziale.

Ne consegue che il giudice, ove sia identificabile un immobile destinato al nucleo familiare e si ponga, concretamente, la questione dell’assegnazione, in funzione dell’interesse dei minori è tenuto a sollevare officiosamente la questione relativa al provvedimento da adottare.

Nel successivo art. 337 septies c.c., riguardante "disposizioni a favore dei figli maggiorenni" secondo l’indicazione del titolo della norma, è previsto che il giudice "possa" disporre, valutate le circostanze, in favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente, il pagamento di un assegno periodico.

Non può porsi in dubbio, di conseguenza, che l’esercizio del diritto, sia condizionato alla proposizione di una domanda, da parte di uno dei genitori verso l’altro o, in via concorrente, del figlio stesso, in quanto con il raggiungimento della maggiore età, l’obbligo di mantenimento dei figli non costituisce più un effetto automatico conseguente al vincolo di genitorialità, ma risulta condizionato all’accertamento della peculiare condizione di non indipendenza economica degli stessi dettata dall’impegno verso il raggiungimento di un preciso obiettivo professionale, ben potendo l’inesistenza di tale condizione fattuale essere fatta valere in giudizio dal genitore che si oppone al versamento dell’assegno. (Cass.5088 del 2018).

Il collegamento tra affidamento, contributo al mantenimento e assegnazione della casa familiare è attenuato con il raggiungimento della maggiore età.

Non è più in campo la decisione sulla titolarità e l’esercizio della responsabilità genitoriale.

L’esigenza di preservare la continuità dell’habitat domestico in funzione dell’equilibrato sviluppo psico-fisico del minore perde di centralità con il raggiungimento della maggiore età per lasciare spazio alle esigenze concrete di vita del figlio che non abbia ancora completato il proprio percorso di autonomia economico-patrimoniale.

Rimane come preminente criterio attributivo la prosecuzione della coabitazione del figlio maggiorenne non autosufficiente e la valutazione del suo interesse, oltre che del valore economico patrimoniale, del godimento dell’immobile in relazione alla reciprocità degli obblighi economico patrimoniali dei genitori, ma viene meno il nesso eziologico diretto con i provvedimenti relativi all’esercizio della responsabilità genitoriale (e alla titolarità in casi residuali) e al collocamento dei minori.

In questo mutato contesto della condizione giuridica complessiva del figlio maggiorenne rispetto a quella del figlio minore, non può prescindersi dalla formulazione delle domande relative al mantenimento e all’assegnazione della casa familiare, sia perché fondate su presupposti fattuali parzialmente diversi da quelli relativi ai figli minori, sia perché l’obbligo di contribuzione e quello relativo al sacrificio nel godimento della casa familiare sono condizionati dall’accertamento della situazione di non indipendenza economica del figlio maggiorenne, dal giudizio prognostico sui suoi progetti lavorativi e professionali ed, infine, anche dalla verifica della coabitazione con uno dei genitori.

È necessario, di conseguenza, che la domanda di assegnazione della casa familiare venga proposta in sede di giudizio di divorzio anche da parte di chi risulti già assegnatario della stessa come da statuizioni assunte in sede separativa, non potendo il giudice provvedervi officiosamente proprio in relazione alla diversa connotazione della posizione giuridica, soprattutto in termini di autodeterminazione individuale, che caratterizza il figlio maggiorenne, ancorché non autosufficiente, rispetto al minore.

Non incide sulla soluzione assunta la natura irrinunciabile ed indisponibile, anche di recente riconosciuta dalla giurisprudenza di questa Corte, al contributo per il mantenimento del figlio maggiorenne non autosufficiente (Cass.32529 del 2018; Cass. 9698 del 2001).

Il principio, peraltro riferito all’assegno di mantenimento, è stato affermato in funzione della permanenza della legittimazione concorrente del genitore anche nell’ipotesi di rinuncia al diritto da parte del figlio.

La sua operatività è rivolta esclusivamente ad affermare l’inefficacia di atti abdicativi di uno dei legittimati sull’esercizio del diritto da parte dell’altro legittimato non operando il principio della solidarietà attiva.

Non spiega, invece, alcuna influenza, sulla applicazione necessaria del principio dispositivo in relazione alla domanda (art. 112 c.p.c.) anche in questa tipologia di giudizi ed, in particolare, in relazione al provvedimento di assegnazione della casa familiare, ad uno degli ex coniugi, non più legata, come già rilevante alle primarie esigenze di sviluppo psico fisico del minore”.

La Corte di Cassazione ha, quindi, concluso per la necessità che “la domanda di assegnazione della casa familiare venga proposta in sede di giudizio di divorzio anche da parte di chi risulti già assegnatario della stessa come da statuizioni assunte in sede separativa”.

Il principio di diritto così pronunciato dalla Suprema Corte sembra, tuttavia, valere limitatamente all’ipotesi in cui il genitore già assegnatario della casa familiare sia convivente con prole maggiorenne, economicamente non autosufficiente.

Le ragioni del rigore alla base dell’ordinanza n. 10204/2019 paiono, invero, superabili in relazione al diverso caso del genitore convivente con prole minorenne.

Ciò che, però, non è possibile affermare con certezza, perché con l’ordinanza in esame la Corte di Cassazione nulla ha detto al riguardo.

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