Videocamere private nella via pubblica e contemperamento dei diritti di libertà dei passanti con quelli alla sicurezza, vita e proprietà dei residenti

Videocamere private nella via pubblica e contemperamento dei diritti di libertà dei passanti con quelli alla sicurezza, vita e proprietà dei residenti
20 Maggio 2019: Videocamere private nella via pubblica e contemperamento dei diritti di libertà dei passanti con quelli alla sicurezza, vita e proprietà dei residenti 20 Maggio 2019

Con la sentenza n. 20527/2019, la Quinta Sezione Penale della Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi in tema di videocamere installate da privati presso la propria abitazione, ma “puntate” verso aree aperte al pubblico transito.

Nel caso deciso dalla Corte, due proprietari avevano installato un sistema di videosorveglianza sul muro perimetrale delle rispettive abitazioni.

Le telecamere per ripresa visiva e sonora, tuttavia, “puntavano” verso la pubblica strada e, quindi, riprendevano di fatto anche i movimenti quotidiani degli abitanti della zona e, in genere, dei passanti.

I due proprietari venivano quindi imputati del reato di violenza privata (art. 610 c.p.), consistita nell'aver installato le predette videocamere, costringendo gli abitanti della zona a tollerare di essere costantemente osservati e controllati nell'espletamento delle loro attività lavorative e nei loro movimenti, nonché a modificare le proprie abitudini per sottrarsi alla videoripresa, con conseguente lesione della loro libertà di autodeterminazione.

Il Tribunale di primo grado aveva ritenuto sussistente la responsabilità degli imputati e li aveva condannati alla pena di anni uno di reclusione ciascuno.

La Corte d’appello aveva poi confermato la predetta condanna, limitandosi solamente a ridimensionare il trattamento sanzionatorio comminato.

Gli imputati avevano, quindi, proposto ricorso per cassazione, censurando, tra le altre, la mancanza dell’elemento oggettivo del reato: le videocamere, infatti, corredate di visibili presidi informativi, sarebbero state installate con il solo fine della tutela della sicurezza e del patrimonio, e non certo di osservare e controllare gli abitanti della zona.

La Corte di Cassazione ha ritenuto fondato il ricorso.

I Giudici di Piazza Cavour hanno, anzitutto, ricordato che “in materia di riprese tramite strumenti di videosorveglianza, il sistema positivo prevede che chiunque installi un sistema di videosorveglianza deve provvedere a segnalarne la presenza, facendo in modo che qualunque soggetto si avvicini all'area interessata dalle riprese sia avvisato della presenza di telecamere già prima di entrare nel loro raggio di azione. La segnalazione deve essere effettuata tramite appositi cartelli, collocati a ridosso dell'area interessata, ed in modo tale che risultino chiaramente visibili”, precauzioni ed avvertimenti che risultavano rispettati nel caso di specie.

Ciò premesso, la Corte ha anche ricordato che il reato di violenza privata ha carattere generico e sussidiario rispetto ad altre figure in cui la violenza alle persone è elemento costitutivo del reato e non si limita a tutelare la sola libertà morale dell’individuo, intesa come libertà di determinarsi spontaneamente secondo motivi propri, ma “è riferibile a qualsiasi atto o fatto posto in essere dall'agente che si risolva comunque nella coartazione della libertà fisica o psichica del soggetto passivo che viene così indotto, contro la sua volontà, a fare, tollerare o omettere qualche cosa, indipendentemente dall'esercizio su di lui di un vero e proprio costringimento fisico (Cass. 39941/2002 rv. 222847; Cass.1176/2013 rv. 254126)”.

Tuttavia, con riferimento al caso di specie, posto che “l'installazione di sistemi di videosorveglianza con riprese del pubblico transito non costituisce in sé un'attività illecita, né lo sono le concrete modalità di attuazione della condotta descritta in imputazione”, e posto che “non può ragionevolmente escludersi che il sistema di videoripresa attuato dagli imputati fosse finalizzato proprio alla protezione degli indicati beni primari della sicurezza, della vita e della proprietà privata”,  non  “è ravvisabile, nel prospettato cambiamento di abitudini che si sarebbe registrato da parte di alcuni abitanti - con l'individuare percorsi alternativi per rientrate in casa, o altre aree di sosta dei veicoli, per sottrarsi alle riprese delle telecamere in questione - l'offesa al bene giuridico protetto dalla norma di cui all'art. 610 cod.pen., trattandosi di condizionamenti minimi indotti dalle condotte de quibus, tali da non potersi considerare espressivi di una significativa costrizione della libertà di autodeterminazione”.

In altre parole, alla luce della ricostruzione fattuale emersa nei due precedenti gradi di giudizio, nel bilanciamento tra l’interesse degli abitanti della zona a non essere osservati e controllati e a non sentirsi costretti a dover modificare le proprie abitudini ed i propri comportamenti, da una parte, e l’interesse dei due proprietari a vedere tutelata la propria sicurezza, la propria vita ed il proprio patrimonio, dall’altra, quest’ultimo deve essere considerato l’interesse prevalente.

Per tali ragioni, la Corte di Cassazione ha annullato senza rinvio la sentenza impugnata.

  

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