Il genitore che con il suo comportamento costringe il figlio ad assistere ad atti di violenza sull'altro genitore o comunque aggressivi, lede il diritto del figlio a vivere in un ambiente sano ed armonioso e, quindi, anche nel caso di archiviazione in sede penale del procedimento di maltrattamenti, il giudice civile deve adottare misure idonee a proteggere le vittime dalla possibile reiterazione di questi comportamenti, e da contatti con un genitore inadeguato.
Lo ha ribadito la Corte di Cassazione, con
sentenza n. 7409, pubblicata il 20 marzo 2025.
Nel caso di specie, un uomo aveva proposto ricorso per cassazione avverso la decisione della Corte d’appello che, nonostante il provvedimento di archiviazione in sede penale, aveva disposto l’affidamento super esclusivo dei figli a favore della madre, sulla base di comportamenti violenti ed intemperanti tenuti dal ricorrente in ambito familiare.
La sentenza della Corte d’appello, invero, aveva tracciato un complessivo quadro di violenza che connotava la vita familiare ed anche della violenza assistita, ossia agita alla presenza dei figli anche se non direttamente su di essi, nonché della violenza psicologica, anche nei confronti dei figli ai quali raccontava che la madre era una bugiarda e che li avrebbe abbandonati, ed economica, accertata altresì l’inosservanza dell’obbligo di mantenimento.
L’uomo, articolando quattro distinti motivi, lamentava l’insussistenza dei presupposti del regime d’affido stabilito dai giudici di merito, nonché il mancato riconoscimento della sua capacità genitoriale.
La Suprema Corte, con la sentenza dianzi citata, ha rigettato il ricorso.
Gli Ermellini, infatti, hanno osservato che lo Stato italiano ha firmato e ratificato la Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica del 11 maggio 2011, oggi ratificata anche dalla UE e quindi vincolante per tutti gli Stati membri.
Tale Convenzione chiarisce che il fenomeno denominato “violenza domestica” comprende tutti gli atti che comportano violazione dei diritti umani e discriminazione contro le donne, suscettibili di provocare danni o sofferenze di natura fisica, sessuale, psicologica o economica e descrive, inoltre, un quadro molto chiaro della incidenza di questi atti di violenza sui rapporti familiari, sui procedimenti civili che hanno per oggetto l’affidamento e sulla necessità di tutelare i bambini che abbiano assistito a siffatti episodi di violenza.
Solo con la recente riforma del processo civile, cd. Riforma Cartabia, sono state previste, in attuazione della Convenzione di Istanbul, specifiche disposizioni processuali per la trattazione dei procedimenti in materia di persone, minorenni e famiglie in cui vi siano condotte di violenza domestica e di genere (artt. 473-bis.40 e ss. c.p.c.).
Infatti, la diffusione della violenza di genere e domestica, evidenziata nella relazione illustrativa di detta riforma, ha indotto il legislatore a prevedere numerosi principi finalizzati a evitare il verificarsi, nell'ambito dei procedimenti civili e minorili, aventi ad oggetto la disciplina delle relazioni familiari, ed in particolare l'affidamento dei figli minori, di fenomeni di vittimizzazione secondaria, la quale si realizza quando le stesse autorità chiamate a reprimere il fenomeno delle violenze, non riconoscendolo o sottovalutandolo, non adottano nei confronti della vittima le necessarie tutele per proteggerla da possibili condizionamenti e reiterazioni delle violenze stesse.
Sebbene le disposizioni introdotte dalla suddetta riforma non fossero applicabili ratione temporis al caso di specie, la Convenzione era comunque vigente nel momento in cui è stato introdotto il giudizio e di conseguenza imponeva l'interpretazione delle norme interne in senso ad essa conforme.
E, quindi, la Corte di merito aveva applicato la costante giurisprudenza di legittimità, secondo la quale in tema di affidamento dei figli minori, la scelta dell'affidamento ad uno solo dei genitori deve essere compiuta in base all'esclusivo interesse morale e materiale della prole, sicché il perseguimento di tale obiettivo può comportare anche l'adozione di provvedimenti contenitivi o restrittivi di diritti individuali di libertà dei genitori, senza che occorra operare un bilanciamento fra questi ultimi e l'interesse superiore del minore.
Inoltre, secondo la Cassazione, diversa è la valutazione dei fatti accertati in sede penale rispetto a quella in sede civile, perché il reato è tipico e previsto da una norma di stretta applicazione, invece l’illecito civile consiste in qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto e, segnatamente, qualora si parli di danno non patrimoniale, qualunque fatto che leda beni costituzionalmente protetti.
La Suprema Corte, dunque, ha ritenuto che la Corte territoriale avesse correttamente compiuto una valutazione autonoma dei fatti, inserendoli in un generale quadro probatorio che univocamente indirizzava verso una situazione di violenza familiare.