La concessione in comodato di un immobile per esigenze familiari è da qualificarsi come comodato a termine.

La concessione in comodato di un immobile per esigenze familiari è da qualificarsi come comodato a termine.
09 Aprile 2025: La concessione in comodato di un immobile per esigenze familiari è da qualificarsi come comodato a termine. 09 Aprile 2025

Con ordinanza n. 573 del 9.1.2025, la Corte di cassazione ha ribadito che se il contratto di comodato viene stipulato per soddisfare le esigenze della famiglia è inquadrabile nello schema del comodato a termine indeterminato, e non nel comodato senza determinazione di durata (comodato precario).
Con la conseguenza che tale contratto non può risolversi ad nutum, ma solo al termine stabilito esplicitamente o implicitamente dal contratto oppure, anticipatamente, in caso di bisogno urgente.
IL CASO. Tizio, in qualità di trustee, conveniva in giudizio, davanti al Tribunale di Torino, Caio, chiedendo che venisse dichiarata la cessazione del contratto di comodato, avente ad oggetto un immobile che era stato, successivamente, ricompreso nel trust.  
In forza di una richiesta di rilascio inviata al comodatario, l’attore chiedeva, dunque, che venisse dichiarata la cessazione del contratto, nonché che il convenuto fosse condannato al pagamento della somma indicata in contratto a titolo di penale per il ritardato rilascio.
Il Tribunale rigettava la domanda.
Proposto l’appello, la Corte d’appello di Torino rigettava il gravame.
In particolare, i giudici di secondo grado avevano ritenuto che il contratto di comodato rientrasse nell’ipotesi del comodato a termine, trattandosi di comodato destinato a soddisfare le esigenze abitative della famiglia del comodatario; destinazione, questa, che di per sé era incompatibile con un godimento caratterizzato dall’incertezza e avente per sua natura una determinazione della durata.
Per tale motivo, il comodante non poteva recedere ad nutum dal contratto e quest’ultimo non poteva dichiararsi cessato.
Tizio proponeva, dunque, ricorso in Cassazione, sostenendo, fra le altre, che, in mancanza di particolari prescrizioni sulla durata, l’uso corrispondente alla generica destinazione dell’immobile configurava un comodato a tempo indeterminato e, di conseguenze, un comodato precario, con conseguente revocabilità ad nutum.
Secondo il ricorrente, poi, ammettere un comodato per tutta la durata di vita di una famiglia equivaleva a costituire una sorta di diritto reale sulla cosa non tipizzato dalla legge.
LA SENTENZA. La Corte di cassazione ricorda, anzitutto, che le Sezioni Unite si erano già pronunciate, stabilendo che nel contratto di comodato il termine finale può risultare anche dall’uso cui la cosa deve essere destinata, in quanto tale uso abbia in sé connaturata una durata predeterminata nel tempo.
Inoltre, ricorda che la giurisprudenza di legittimità ha già ricondotto il caso analogo del contratto di comodato di un immobile “per tutta la vita del comodatario” all’interno della categoria dei contratti di comodato a termine, essendo certo l’an ma incerto il quando.
In tali casi, il riferimento alla destinazione dell’uso della cosa “permette pur sempre di individuare un termine finale, per quanto anche molto lontano, nel quale il contratto avrà termine; per cui la disciplina da applicare non può che essere quella dell’art. 1809 cod. civ., come correttamente stabilito dalla Corte d’appello, non potendo il comodato in questione essere connotato dalla precarietà”.
Alla luce di quanto esposto, la Corte di cassazione ha rigettato il ricorso e compensato le spese, in ragione della delicatezza della vicenda, della serietà delle argomentazioni proposte dal ricorrente e dalla non sempre pacifica univocità degli orientamenti della giurisprudenza.

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