Con la sentenza n. 13200, pubblicata il 18.5.2025, le Sezioni Unite Civili si sono pronunciate su una questione di grande attualità che concerne ai limiti entro i quali l’esercizio del diritto di cronaca giudiziaria possa costituire causa di esclusione della responsabilità per diffamazione a mezzo stampa.
IL CASO. Un noto finanziere aveva convenuto in giudizio un giornalista che aveva pubblicato un articolo online, nonché il direttore responsabile e l’editore del settimanale, lamentando che l'anzidetto articolo avesse leso il proprio diritto all'onore, alla reputazione e all'immagine.
L’attore aveva dedotto di esser stato individuato, nello scritto giornalistico, come imputato per truffa, mentre all'epoca egli era solo indagato, non essendo stato ancora raggiunto dalla richiesta di rinvio giudizio, peraltro in relazione al diverso reato di tentata truffa.
Il Tribunale di Roma aveva respinto la domanda risarcitoria, mentre la Corte d’appello di Roma, in sede d’impugnazione, aveva riformato la sentenza di primo grado e condannato in via solidale i convenuti al risarcimento del danno non patrimoniale in favore dell'attore pari a 25.000 euro, nonché al pagamento di una sanzione pecuniaria di 5.000 euro, oltre alla pubblicazione della sentenza.
Avverso tale sentenza, i soccombenti avevano proposto ricorso per cassazione.
Con ordinanza interlocutoria, la Prima Sezione civile aveva disposto la trasmissione degli atti alla Prima Presidente, ai sensi dell'art. 374 c.p.c., la quale, a sua volta, aveva rimesso la decisione del ricorso alle Sezioni Unite Civili.
LA SENTENZA. Con la sentenza dianzi citata le Sezioni Unite, anzitutto, hanno fornito una visione sistemica dei valori-principi e dei complessi rapporti tra libertà di manifestazione del pensiero e diritti della personalità, ravvisando l’esigenza di individuare il perimetro entro il quale l’esercizio della libertà di stampa possa considerarsi legittimo, senza trasmodare nell’intollerabile lesione di diritti invidiali antagonisti.
In particolare, i giudici di legittimità hanno ravvisato che l’orientamento maggioritario ritiene che una soglia di tolleranza circa le infedeltà narrative debba trovare spazio nel nostro ordinamento, anche nell’ambito della cronaca giudiziaria, la quale in ragione della sua vocazione culturale e sociale risulta più pregnante, condensando l’attenzione dei lettori su fatti di reato e sull’operato degli organi giudiziari e considerando altresì il diritto della collettività ad un'informazione vera e corretta.
Ciò precisato, secondo Le Sezioni Unite, l’erronea rappresentazione della falsa posizione di imputato, anziché di indagato non costituisce una infedeltà narrativa secondaria o marginale tale da giustificare l'operatività dell'esimente del diritto di cronaca di cui all’art. 51 c.p..
Infatti, la differenza, in termini giuridici, tra i due status è significativa, riverberandosi sulla percezione sociale del grado di probabilità del coinvolgimento del soggetto che ne è titolare nel reato che gli viene addebitato.
Parimenti, l'esimente del diritto di cronaca giudiziaria non è configurabile ove si attribuisca ad un soggetto un fatto diverso nella sua struttura essenziale rispetto a quello per cui si indaga, idoneo a cagionare una lesione della reputazione (come anche nel caso di un reato consumato in luogo di quello tentato).
Le Sezioni Unite, quindi, hanno respinto il ricorso e pronunciato il seguente principio di diritto:
“In tema di diffamazione a mezzo stampa, l'esimente del diritto di cronaca giudiziaria, qualora la notizia sia mutuata da un provvedimento giudiziario, non è configurabile ove si attribuisca ad un soggetto, direttamente o indirettamente, la falsa posizione di imputato, anziché di indagato (anche per essere riferita un'avvenuta richiesta di rinvio a giudizio, in luogo della reale circostanza della notificazione dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari di cui all'art. 415-bis c.p.p.) e/o un fatto diverso nella sua struttura essenziale rispetto a quello per cui si indaga, idoneo a cagionare una lesione della reputazione (come anche nel caso di un reato consumato in luogo di quello tentato), salvo che il giudice del merito accerti che il contesto della pubblicazione sia tale da mutare, in modo affatto chiaro ed inequivoco, il significato di quegli addebiti altrimenti diffamatori”.