E’ indebita l’appropriazione di un file informatico altrui

E’ indebita l’appropriazione di un file informatico altrui
24 Aprile 2020: E’ indebita l’appropriazione di un file informatico altrui 24 Aprile 2020

Con la sentenza n. 11959/2020, la Seconda Sezione Penale della Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi in tema di appropriazione indebita.

Nel caso di specie, l’imputato era stato tratto a giudizio per rispondere dei reati di cui agli artt. 635 quater c.p. (danneggiamento di sistemi informatici o telematici) e 646 c.p. (appropriazione indebita), in quanto, nel dimettersi dalla società presso la quale lavorava, aveva restituito il notebook aziendale - a lui affidato nel corso del rapporto di lavoro - con l’hard disk formattato, dal quale aveva però cancellato tutti i dati informatici originariamente presenti.

Parte di tali dati erano stati rinvenuti successivamente nella disponibilità dell’imputato, salvati su un computer da lui utilizzato.

Il Tribunale di Torino aveva quindi condannato l’imputato per aver commesso gli illeciti ascrittigli.

Successivamente adita, la Corte d’appello di Torino aveva invece parzialmente riformato la sentenza impugnata, confermando la sola condanna relativa al reato di appropriazione indebita (e pronunciato assoluzione per il reato previsto dall’art. 635 quater c.p.).

L’imputato aveva, quindi, presentato ricorso per cassazione, deducendo, tra le altre, la violazione di legge, in riferimento all’art. 646 c.p., per avere i Giudicanti “ritenuto in modo erroneo che i dati informatici siano suscettibili di appropriazione indebita, non potendo essi essere qualificati come cose mobili”.

La Corte di Cassazione, tuttavia, ha ritenuto infondato il ricorso.

La questione che la Corte ha affrontato concerne la possibilità di qualificare i dati informatici, in particolare singoli file, come cose mobili, ai sensi delle disposizioni della legge penale e, specificamente, in relazione alla possibilità di costituire oggetto di condotte di appropriazione indebita.

Sul punto, esistono due orientamenti giurisprudenziali contrastanti.

Secondo un primo orientamento, più risalente nel tempo, i file non potrebbero formare oggetto del reato di cui all’art. 624 c.p., atteso che, rispetto alla condotta tipica della sottrazione, “la particolare natura dei documenti informatici rappresenta un ostacolo logico alla realizzazione dell’elemento oggettivo della fattispecie incriminatrice, ad esempio nel caso di semplice copiatura non autorizzata di "files" contenuti in un supporto informatico altrui, poiché in tale ipotesi non si realizza la perdita del possesso della res da parte del legittimo detentore” (cfr., ex multis, Cassazione penale, Sez. IV, n. 44840 del 26/10/2010).

Analogamente, con riguardo al delitto di appropriazione indebita, la giurisprudenza ha affermato in numerose occasioni che oggetto materiale della condotta di appropriazione non può essere un bene immateriale, salvo che la condotta abbia ad oggetto i documenti che rappresentino i beni immateriali (cfr., tra le altre, Cassazione penale, Sez. II, n. 20647 del 11/05/2010,  relativa all’appropriazione di disegni e progetti industriali coperti da segreto, riprodotti su documenti di cui l’imputato si era indebitamente appropriato).

Il citato orientamento trae spunto dal tenore testuale della norma incriminatrice, che individua l’oggetto materiale della condotta nel "denaro od altra cosa mobile", ove per "cosa mobile" si intende un bene che sia suscettibile di "fisica detenzione, sottrazione, impossessamento od appropriazione, e che a sua volta possa spostarsi da un luogo ad un altro o perché ha l’attitudine a muoversi da sé oppure perché può essere trasportata da un luogo ad un altro o, ancorché non mobile ab origine, resa tale da attività di mobilizzazione ad opera dello stesso autore del fatto, mediante sua avulsione od enucleazione" (cfr. Cassazione Penale, Sez. II, n. 20647 del 11/05/2010, cit.).

Recentemente, tuttavia, si è formato un orientamento giurisprudenziale opposto, che ha affermato la possibilità che oggetto materiale del reato possa essere anche un file informatico (cfr. Cassazione penale, Sez. V, n. 32383 del 19/02/2015, relativa ad una fattispecie concernente la condotta di un avvocato che, dopo aver comunicato la propria volontà di recedere da uno studio associato, si era impossessato di alcuni file, cancellandoli dal server dello studio).

Partendo da questo secondo orientamento, la Corte di Cassazione ha anzitutto osservato che “le cifre binarie (bit, dall’acronimo inglese corrispondente all’espressione binary digit) rappresentano l’unità fondamentale di misura all’interno di un qualsiasi dispositivo in grado di elaborare o conservare dati informatici; lo spazio in cui vengono collocati i bit è costituito da celle ciascuna da 8 bit, denominata convenzionalmente byte (ISO/IEC 2382:2015 - 2121333). Com’è stato segnalato dalla dottrina più accorta che si è interessata di questa tematica, "tali elementi non sono entità astratte, ma entità dotate di una propria fisicità: essi occupano fisicamente una porzione di memoria quantificabile, la dimensione della quale dipende dalla quantità di dati che in essa possono esser contenuti, e possono subire operazioni (ad esempio, la creazione, la copiatura e l’eliminazione) tecnicamente registrate o registrabili dal sistema operativo (…). Il file [quindi], pur non potendo essere materialmente percepito dal punto di vista sensoriale, possiede una dimensione fisica costituita dalla grandezza dei dati che lo compongono, come dimostrano l’esistenza di unità di misurazione della capacità di un file di contenere dati e la differente grandezza dei supporti fisici in cui i files possono essere conservati e elaborati (…). A questo riguardo va considerata la capacità del file di essere trasferito da un supporto informatico ad un altro, mantenendo le proprie caratteristiche strutturali, così come la possibilità che lo stesso dato viaggi attraverso la rete Internet per essere inviato da un sistema o dispositivo ad un altro sistema, a distanze rilevanti, oppure per essere "custodito" in ambienti "virtuali" (corrispondenti a luoghi fisici in cui gli elaboratori conservano e trattano i dati informatici); caratteristiche che confermano il presupposto logico della possibilità del dato informatico di formare oggetto di condotte di sottrazione e appropriazione”.

La Corte di Cassazione, pertanto, è arrivata alla conclusione che il file informatico, pur difettando del requisito della “apprensione materialmente percepibile”, rappresenta comunque una “cosa mobile, definibile quanto alla sua struttura, alla possibilità di misurarne l’estensione e la capacità di contenere dati, suscettibile di esser trasferito da un luogo ad un altro, anche senza l’intervento di strutture fisiche direttamente apprensibili dall’uomo”.

Ciò posto, il file informatico possiede poi un indiscusso valore patrimoniale, “in ragione delle facoltà di utilizzazione e del contenuto specifico del singolo dato”.

I Giudici di Piazza Cavour, pertanto, hanno affermato il principio di diritto per cui “i dati informatici (files) sono qualificabili cose mobili ai sensi della legge penale e, pertanto, costituisce condotta di appropriazione indebita la sottrazione da un personal computer aziendale, affidato per motivi di lavoro, dei dati informatici ivi collocati, provvedendo successivamente alla cancellazione dei medesimi dati e alla restituzione del computer "formattato"”, ed hanno rigettato il ricorso dell’imputato.

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