La c.d. "contestazione aperta" nel reato di stalking

La c.d.
07 Ottobre 2020: La c.d. 07 Ottobre 2020


Nel caso di specie, nell'ambito di un procedimento penale per stalking c.d. "condominiale", il Pubblico Ministero aveva impugnato l'ordinanza con cui il Giudice di prime cure aveva rigettato la richiesta di emissione di un'ordinanza cautelare in carcere nei confronti dell'imputato.

Il Tribunale del Riesame, in veste di Giudice dell'appello cautelare, aveva invece disposto la misura cautelare, ritenendo che le condotte di molestia e minaccia poste in essere dall'imputato successivamente al rinvio a giudizio fossero da considerarsi "un'ulteriore "tranche" dell'agire delittuoso", ricompresa nel medesimo oggetto del processo penale.

L'imputato era quindi ricorso per cassazione, censurando, tra le altre, la violazione di legge e la carenza e manifesta illogicità della motivazione e sostenendo che, ai fini dell'applicazione della misura cautelare fondata sui fatti nuovi e successivi al rinvio a giudizio, è necessaria una modifica dell'imputazione ai sensi dell'art. 516 c.p.p. e ss. ovvero ad una nuova iscrizione nel registro delle notizie di reato, non potendo considerarsi i nuovi episodi ricompresi nell'oggetto del giudizio in corso.
In ogni caso, secondo il ricorrente, l'ampliamento dell'oggetto della contestazione fatta direttamente in dibattimento sarebbe stato consentito solamente ove i "nuovi fatti [siano emersi] dal confronto in contraddittorio tra le parti, e dunque nel rispetto delle garanzie difensive, e non se, come nel caso di specie, la nuova condotta di reato sia stata denunciata ex novo dalle persone offese al di fuori dell'ambito processuale in corso".

I Giudici di Piazza Cavour, tuttavia, hanno rigettato il ricorso, confermando la decisione del Tribunale del Riesame.

La Corte ha osservato, anzitutto, come l'ennesima azione di minaccia grave da parte del ricorrente (esplosione di colpi d'armi ad aria compressa) si fosse protratta anche in presenza dei carabinieri intervenuti (che avevano assistito ad alcune minacce ed ingiurie verbali rivolte alle persone offese).

Sicché, la denuncia delle vittime risultava confortata da ulteriori elementi di fatto, in relazione ai quali operava la garanzia del contraddittorio tra acce difesa, dinanzi al giudice terzo, secondo le ordinarie regole processuali previste.

Quanto alla possibilità formale di procedere alla contestazione nella fattispecie in esame, correttamente il Tribunale del Riesame aveva richiamato la giurisprudenza secondo cui "nel delitto previsto dall'art. 612-bis c.p., che è reato abituale e si consuma al compimento dell'ultimo degli atti della sequenza criminosa integrativa della abitualità del reato, il termine finale di consumazione, in mancanza di una specifica contestazione, coincide con quello della pronuncia della sentenza di primo grado che cristallizza l'accertamento processuale, cosicchè, nell'ipotesi di contestazione aperta (come è quella sottoposta all'esame oggi del Collegio), è possibile estendere il giudizio di penale responsabilità dell'imputato anche a fatti non espressamente indicati nel capo di imputazione e, tuttavia, accertati nel corso del giudizio sino alla sentenza di primo grado (Sez. 5, n. 6742 del 13/12/2018, dep. 2019, D., Rv. 275490)".

Tale impostazione, che, secondo la Corte di Cassazione, non risulta sovvertita da una successiva pronuncia di segno contrarlo (cfr. Sez. 5, n. 54376 del 2/10/2019): "appare la logica conseguenza della pacifica opzione interpretativa secondo cui, nel delitto previsto dell'art. 612-bis c.p., che ha natura abituale di evento, l'evento deve essere il risultato della condotta persecutoria nel suo complesso, anche se può manifestarsi solo a seguito della consumazione dell'ennesimo atto persecutorio, in quanto dalla reiterazione degli atti deriva nella vittima un progressivo accumulo di disagio che, solo alla fine della sequenza, degenera in uno stato di prostrazione psicologica in grado di manifestarsi in una delle forme previste dalla norma incriminatrice (...), sicchè ciò che rileva non è la datazione dei singoli atti, quanto la loro identificabilità quali segmenti di una condotta unitaria, causalmente orientata alla produzione dell'evento".

Ne consegue che l'evento o, meglio, gli eventi alternativi che disegnano la tipicità oggettiva della fattispecie di stalking si realizzano "per accumulo" di condotte reiterate quali manifestazioni di una unitaria "campagna persecutoria".

In definitiva, la Corte, nel rigettare il ricorso presentato dall'imputato, ha il enunciato il seguente principio di diritto: "il delitto previsto dall'art. 612-bis c.p. è reato abituale di evento "per accumulo", che si consuma al compimento dell'ultimo degli atti della sequenza criminosa integrativa della abitualità del reato, pur potendosi essere già perfezionato nel momento in cui uno degli eventi previsti dalla norma si sia realizzato, sicchè il termine finale di consumazione, in presenza di una contestazione "aperta", coincide con quello della pronuncia della sentenza di primo grado che cristallizza l'accertamento processuale, consentendo l'ampliamento dell'ambito dell'imputazione alle ulteriori condotte eventualmente realizzate successivamente all'esercizio dell'azione penale".

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