Stalking: per l’emissione del provvedimento questorile è sufficiente anche solo una potenziale pericolosità della condotta

Stalking: per l’emissione del provvedimento questorile è sufficiente anche solo una potenziale pericolosità della condotta
18 Maggio 2020: Stalking: per l’emissione del provvedimento questorile è sufficiente anche solo una potenziale pericolosità della condotta 18 Maggio 2020

Con la sentenza n. 2545/2020, la Terza Sezione del Consiglio di Stato è tornata a pronunciarsi in materia di stalking e di presupposti per l’emissione del provvedimento questorile.

Nel caso di specie, a seguito di espressa richiesta di una donna, il Questore di Milano aveva emesso un decreto di ammonimento con cui invitava un uomo a tenere una condotta conforme alla legge, avvertendolo che, in caso di reiterazione dei comportamenti persecutori censurati, la pena prevista per il delitto di cui all'art. 612 bis del c.p. sarebbe aumentata e si sarebbe proceduto d’ufficio, oltre ad invitarlo a recarsi presso il CIPM "Centro Italiano per la Promozione della Mediazione", per intraprendere il percorso trattamentale integrato, finalizzato all'acquisizione della consapevolezza del disvalore penale delle azioni commesse.

L’uomo aveva impugnato il predetto decreto avanti al T.A.R. Lombardia, che aveva accolto il suo ricorso, affermando che l’attività amministrativa avrebbe anzitutto violato le garanzie partecipative, essendo “del tutto apodittica l’affermazione secondo la quale sussisterebbero particolari esigenze di celerità tali da consentire di non effettuare la comunicazione di avvio del procedimento”. 

Inoltre, il T.A.R. evidenziava come “il provvedimento in contestazione, oltre a non motivare in ordine ai fatti che fonderebbero l’addotta esigenza di celerità, neppure si basa su comportamenti [posti in essere dall’ammonito] di contenuto inequivocabilmente aggressivo o violento nei confronti della [denunciante] tali da palesare l’esigenza di provvedere senza differimenti”, e censurando il fatto che l’uomo non fosse nemmeno stato sentito nel corso dell’istruttoria.

Infine, il Tribunale regionale osservava che la ravvisata carenza motivazionale emergeva anche in relazione agli altri presupposti dell’ammonimento, in quanto mancava la prova anche in ordine al fatto che il comportamento dell’uomo aveva generato nella donna un grave stato d’ansia e di paura, unitamente ad un mutamento nelle sue abitudini di vita.

Avverso la sentenza del T.A.R. Lombardia proponevano appello il Ministero dell’Interno e la Questura di Milano, rappresentati dall’Avvocatura dello Stato.

Nell’esaminare il caso sottopostogli, il Consiglio di Stato ha anzitutto ricordato quanto disposto dall’art. 8 d.l. n. 11 del 23 febbraio 2009, convertito in legge n. 38 del 23 aprile 2009, per cui “fino a quando non è proposta querela per il reato di cui all’articolo 612-bis del codice penale, introdotto dall’articolo 7, la persona offesa può esporre i fatti all’autorità di pubblica sicurezza avanzando richiesta al questore di ammonimento nei confronti dell’autore della condotta"

Il Questore, pertanto, “assunte se necessario informazioni dagli organi investigativi e sentite le persone informate dei fatti, ove ritenga fondata l’istanza, ammonisce oralmente il soggetto nei cui confronti è stato richiesto il provvedimento, invitandolo a tenere una condotta conforme alla legge e redigendo processo verbale”.

I commi successivi del predetto articolo, poi, raccordano la disciplina del potere de quo, avente connotazione preventivo-amministrativa, a quella penale, prevedendo che si procede d’ufficio per il delitto previsto dall’articolo 612-bis del codice penale (c.d. stalking) quando il fatto è commesso da soggetto già ammonito.

Quest’ultima disposizione prevede invece che “salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione (…) chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita”.

Ciò premesso, il Collegio capitolino ha evidenziato come “lo strumento dell’ammonimento è essenzialmente destinato a prevenire la recrudescenza dei fenomeni patologici talvolta caratterizzanti le relazioni umane, anche di impronta affettiva, laddove una delle parti assuma atteggiamenti di prevaricazione ed indebita ingerenza nella sfera morale dell’altra”.

La finalità preventiva della misura, pertanto, “è destinata ad operare sia sul piano dell’evoluzione delle vicende relazionali che hanno manifestato sintomi degenerativi, laddove l’autore delle condotte descritte si attenga all’ammonimento del questore, sia sul piano strettamente processuale, laddove la vittima, una volta conseguito l’effetto preventivo proprio dell’ammonimento da essa sollecitato, si astenga dal presentare la querela, costituente ordinariamente la condizione di procedibilità del reato di cui all’art. 612 bis c.p.”.

Se ne evince, quindi, che l’intervento del Questore non è ancorato ai medesimi presupposti richiesti in materia penale, distinguendosene sia sul piano della ricognizione dei fatti atti a legittimarlo, sia in relazione ai mezzi di prova utili al loro accertamento.

Anzitutto, il provvedimento del Questore “è legittimato anche da condotte che, pur non possedendo gli stringenti requisiti di cui all’art. 612 bis c.p., si rivelino potenzialmente atti ad assumere, sulla base della loro concreta manifestazione fenomenica, connotati delittuosi”; in secondo luogo, “è rimessa alla discrezionalità dell’Amministrazione l’apprezzamento della fondatezza della richiesta, in relazione alla attendibilità dei fatti segnalati, e l’individuazione degli elementi di riscontro eventualmente necessari”.

Ciò posto, dall’istruttoria compiuta era emerso che l’ammonito si era reso responsabile di atti riconducibili alla fattispecie di cui all’art. 612 bis c.p., avendo con più condotte reiterate compiuto atti persecutori nei confronti della denunciante e che “le manifestazioni vessatorie iniziate nel mese di maggio u.s. e tuttora in atto, si sono concretizzate con l’invio di numerosi messaggi, mail e telefonate, dal contenuto minaccioso contattando altresì la madre ed il marito [della donna] nonché in appostamenti presso l’abitazione della richiedente, il tutto per non essersi rassegnato alla fine della loro relazione extraconiugale terminata nel maggio c.a.” e che “tali comportamenti hanno ingenerato [nella denunciante] uno stato di paura e preoccupazione tale da costringere a modificare le proprie abitudini di vita essendo persino costretta ad utilizzare un taxi per gli spostamenti, nonché evitando di uscire per timore di incontrare [l’uomo].

Il Consiglio di Stato ha poi specificato come l’assenza di connotati effettivamente minacciosi o violenti nelle condotte dell’uomo non era comunque idonea ad incidere sull’accertamento dei presupposti per l’adozione dell’atto di ammonimento: “è sufficiente al riguardo osservare che l’art. 612 bis c.p., che fornisce la cornice entro cui collocare la valutazione, anche solo in chiave prognostica, dei comportamenti dell’ammonendo, fa riferimento alla reiterazione di condotte di “minaccia o molestia”, ponendo il fulcro della fattispecie sulle conseguenze derivatene sulla condizione psichica ed esistenziale della vittima. Ebbene, non vi è dubbio che, costituendo la molestia un minus, secondo uno spettro di progressione aggressiva, rispetto alla minaccia, sono suscettibili di integrare la prima anche condotte che, senza rappresentare al soggetto passivo un male ingiusto, integrino comunque una forma di indesiderata interferenza nella sfera privata del medesimo e delle sue più strette relazioni, sottraendola al libero controllo decisionale dell’interessata al fine di condizionarla secondo i disegni e le finalità proprie dell’autore della molestia”.

In tale contesto ricostruttivo perdeva di rilevanza invalidante anche la deduzione dell’uomo intesa a lamentare l’omissione della comunicazione di avvio del procedimento monitorio, correttamente giustificata dalla necessità, in via preventiva, di “scongiurare il possibile scatenarsi di dinamiche reattive ulteriori, anche più pregiudizievoli, rispetto alle condotte descritte”.

Per le ragioni esposte, pertanto, il Consiglio di Stato ha accolto il ricorso presentato dal Ministero della Giustizia e dalla Questura di Milano e per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, ha respinto il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, condannando l’uomo alla refusione delle spese relative ai due gradi di giudizio a favore dell’Amministrazione intimata.

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