Condominio: l’occupazione della parte comune non dà sempre diritto al risarcimento del danno

Condominio: l’occupazione della parte comune non dà sempre diritto al risarcimento del danno
27 Febbraio 2019: Condominio: l’occupazione della parte comune non dà sempre diritto al risarcimento del danno 27 Febbraio 2019

Con l’ordinanza n. 468/2019, la Seconda Sezione Civile della Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi in tema di parti comuni nel condominio.

Nel caso di specie, con citazione notificata ancora nel 1998, una condomina aveva convenuto in giudizio una coppia residente nello stesso condominio, lamentando, tra le altre, l’avvenuta, illegittima occupazione di una parte comune della proprietà condominiale.

I convenuti infatti avevano ampliato illegittimamente, sia in lunghezza che in larghezza, un locale ricompreso nella loro unità abitativa, con conseguente restringimento della superficie comune destinata a parcheggio condominiale.

L’attrice aveva quindi chiesto che, accertata la natura condominiale del suolo oggetto dell’illecita occupazione da parte dei convenuti, fosse ordinata la demolizione dell’opera realizzata.

Si costituivano in giudizio i coniugi convenuti, chiedendo il rigetto della domanda proposta dall’attrice.

Il Giudice di primo grado accoglieva le domande dell’attrice e, per l’effetto, disponeva la demolizione tanto della parte di garage che era stata costruita su un’area scoperta di proprietà condominiale, quanto del vano abitativo, ivi parimenti eretto.

I convenuti proponevano quindi appello avverso la predetta sentenza.

La Corte d’appello accoglieva la loro impugnazione, affermando che i danni sarebbero stati astrattamente configurabili in rapporto all’occupazione del terreno condominiale determinata dall’ampliamento del vano garage, occupazione poi venuta meno a seguito di eliminazione del fabbricato abusivo.

Tuttavia, pur essendo stato accertato che tale occupazione abusiva si era protratta nel tempo, non vi erano elementi per affermare che essa fosse estesa al punto da impedire all’appellata l’uso, anche solo potenziale, dell’area comune destinata a parcheggio.

Pertanto, difettando la prova di un concreto pregiudizio economico subito dall’appellata a seguito della realizzazione dell’ampliamento del vano garage ed escluso che il danno fosse in re ipsa, nessuna somma doveva essere alla stessa liquidata a titolo risarcitorio.

L’appellata soccombente in secondo grado ha quindi proposto ricorso per Cassazione.

Con il primo motivo, la ricorrente, lamentando la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1102, 2697, 2043, 2056 e 1226 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la Corte d’appello aveva rigettato la domanda di risarcimento dei danni nei confronti dei condomini, escludendo che il danno fosse in re ipsa.

Essa sosteneva che, al contrario, “il fatto illecito commesso dai convenuti, e cioè l’occupazione abusiva, protrattasi nel tempo, di una porzione di suolo condominiale, in violazione dell’art. 1102 c.c., con la materiale realizzazione di un’opera, ha necessariamente inibito la naturale destinazione d’uso del bene ed ostacolato la libera fruibilità dell’area, in tal modo evidentemente interclusa, agli altri comproprietari e, quindi, alla [ricorrente] la quale non ha avuto alcuna possibilità di servirsi, anche solo potenzialmente, dello spazio di proprietà condominiale. Ne consegue che, a fronte dell’occupazione abusiva di un’area condominale, il danno è in re ipsa ed, in quanto tale, liquidabile senza una prova specifica a carico dell’istante circa l’effettivo pregiudizio subito che, nella specie, è configurabile nella semplice perdita di disponibilità del bene, anche solo potenziale”.

La Corte di Cassazione, però, ha rigettato l’impugnazione della ricorrente.

Infatti, in materia di comunione, il danno deve ritenersi in re ipsa solo ove “sia provata l’utilizzazione da parte di uno dei comunisti della cosa comune in via esclusiva in modo da impedirne l’uso, anche potenziale, agli altri comproprietari”.

Nel caso di specie, tuttavia, la Corte d’appello, con accertamento in fatto non suscettibile di sindacato in sede di legittimità, correttamente aveva ritenuto che non vi fossero elementi per affermare che l’occupazione del suolo condominiale operata dai coniugi fosse stata a tal punto estesa da impedire alla ricorrente l’uso, anche solo potenziale, dell’area comune destinata a parcheggio.

Per tali ragioni, l’impugnazione della ricorrente non ha potuto trovare accoglimento.

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