La Corte di Cassazione delinea i confini del “fatto notorio”

La Corte di Cassazione delinea i confini del “fatto notorio”
02 Aprile 2019: La Corte di Cassazione delinea i confini del “fatto notorio” 02 Aprile 2019

IL CASO. L’Agenzia delle entrate aveva rettificato il valore di alcune compravendite stipulate, in qualità di venditrice, dalla società Alfa, “sulla base di considerevoli scostamenti tra il prezzo indicato in contratto ed i mutui concessi agli acquirenti”, presumendo, quindi, maggiori ricavi in capo alla società ed ai soci rispetto a quelli deducibili dal prezzo dichiarato. Alfa aveva proposto ricorso, ottenendone l'accoglimento in entrambi i gradi di giudizio. La sentenza di secondo grado, in particolare, aveva posto a base della sua decisione il fatto notorio “secondo cui all'epoca dei fatti (2006) le banche concedevano mutui più elevati rispetto al prezzo pattuito in compravendita, sia perché quei mutui erano garantiti da fideiussioni personali, sia per coprire anche le spese notarili”. L’Agenzia delle entrate aveva, quindi, proposto ricorso per Cassazione, in base a due motivi. Col primo aveva denunciato “motivazione apparente della sentenza”. Col secondo “violazione dell'art. 115 c.p.c., avendo la sentenza impugnata posto a base della sua decisione un fatto notorio apoditticamente assunto come tale”.   LA DECISIONE. La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 3550/2019, ha ritenuto il ricorso parzialmente fondato. Ha anzitutto affermato che “non [era] condivisibile” quanto argomentato col primo motivo, perché “la motivazione è apparente quando non è dato individuare le ragioni sulle quali è basata la decisione, quelle che hanno portato il giudice a decidere in un modo anziché in un altro (Cass. n. 9105/ 2017). Nel caso di specie, era invece “chiara la ragione che [aveva] indotto il giudice ad accogliere il ricorso, in quanto si fa espressamente riferimento ad un fatto notorio, il quale spiegherebbe perché mai il prezzo di vendita indicato in atti era inferiore al mutuo concesso per l'acquisto”. La Corte ha, invece, ritenuto “fondato” il secondo motivo. Nel farlo, ha colto l’occasione per affermare che: “il ricorso al fatto notorio ovviamente non è di per censurabile. È invece censurabile l'inesatta nozione di fatto notorio (Cass. 5438 del 2017) o la circostanza che alla base di un fatto notorio il giudice abbia posto una sua personale scienza o conoscenza, anziché la notorietà stessa di quel fatto (Cass. n. 4699 del 2018).Il fatto notorio, invero, è tale se è certo, ossia se si tratta di un fatto che appartiene come certo alla conoscenza media della collettività …Il fatto notorio può da solo costituire prova del fatto incerto, quando però la notorietà sia oggettivamente tale e non quando essa dipenda da conoscenze del giudicante, e tale notorietà deve risultare dalla motivazione assunta”. Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto che i giudici dei primi due gradi avessero posto alla base della loro decisione non già un “fatto notorio”, bensì una circostanza “frutto di una [loro] personale valutazione”, ciò che non poteva costituire prova del fatto incerto: “Nella fattispecie, la circostanza che fosse notorio che le banche in quell'anno erogavano mutui per somme maggiori rispetto a quelle necessarie ad acquistare il bene è frutto di una personale valutazione del giudice, o almeno, così appare, non essendovi alcun elemento in base al quale poter dire che era notorio, vale a dire che, nella conoscenza media della collettività v'era il fatto che si concedessero mutui per valori superiori a quello del bene da comprare. può dirsi che si tratta di un notorio tecnico, appartenente alla conoscenza di una comunità ristretta, posto che attiene ad un fatto sociale ed economico diffuso (le compravendite favorite da muti bancari), piuttosto che limitato ad una classe di cittadini isolata per competenze tecniche”. La Corte di Cassazione ha, quindi, accolto il ricorso con rinvio al giudice di merito, “per il riesame della questione alla luce dei precedenti principi”.   Dalla lettura della motivazione dell’ordinanza n. 3550/2019 sembra di potersi concludere che, per far sì che il fatto notorio assurga a prova del fatto incerto, la parte interessata a farlo valere in giudizio ha l’onere di fornire gli “element[i] in base a[i] qual[i] poter dire che era notorio”. L’ordinanza in commento non specifica quali siano gli “elementi” idonei a comprovare la “notorietà” del fatto. Riteniamo, tuttavia, che, nel caso di specie, la società venditrice avrebbe dovuto dimostrare che il prezzo di vendita indicato nei contratti risultava inferiore rispetto al valore dei mutui concessi agli acquirenti in quanto “all'epoca dei fatti (2006) le banche concedevano mutui più elevati rispetto al prezzo pattuito in compravendita”, “quei mutui erano garantiti da fideiussioni personali” e servivano “per coprire anche le spese notarili”. Pertanto, seguendo il principio indicato dalla Corte di Cassazione, Alfa avrebbe probabilmente dovuto produrre in giudizio una qualche documentazione (ad es. articoli di stampa, inserzioni pubblicitarie, perizia di parte, scritti provenienti dagli addetti della banca, etc.) che attestasse la prassi seguita dalle banche nel 2006 di concedere mutui di valore superiore al prezzo indicato nell’atto di compravendita. Inoltre, avrebbe forse dovuto produrre in giudizio i contratti di mutuo de quibus, dai quali si evinceva la sussistenza delle “fideiussioni personali”, nonché le fatture comprovanti le “spese notarili” coperte dai mutui stessi. Solo così, probabilmente, la Corte di Cassazione avrebbe confermato la sentenza di secondo grado per aver questa fatto ricorso ad un “fatto notorio” propriamente (e correttamente) inteso.

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