La “non contestazione specifica” di un fatto non equivale alla sua “prova legale”

La “non contestazione specifica” di un fatto non equivale alla sua “prova legale”
18 Gennaio 2019: La “non contestazione specifica” di un fatto non equivale alla sua “prova legale” 18 Gennaio 2019

Con l'ordinanza n. 21987 del 11.9.2018 la Corte di Cassazione ha affrontato un aspetto molto importante delle non poche problematiche connesse all’applicazione pratica del principio relativo all’”onere di contestazione” che il legislatore ha introdotto nel nostro ordinamento processuale con la novella di cui all’ art. 45, comma 14, della l. 18 giugno 2009, n. 69, che ha modificato il primo comma dell’art. 115 c.p.c..

Tale norma ora stabilisce che il Giudice “deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti o dal pubblico ministero, nonché i fatti non specificatamente contestati dalla parte costituita”.

Una delle questioni lasciate aperte dall’enunciato della nuova disposizione è quella relativa al fatto se il fatto “non contestato” debba reputarsi sic et simpliciter “provato”, senza possibilità, quindi, di prova contraria.

Più precisamente, la dottrina si è chiesta se la “non contestazione” di un determinato fatto ad opera della parte che era tenuta a contestarlo vincoli il Giudice a ritenerlo provato, e cioè a ritenerlo sussistente, in quanto espunto dal thema probandum per volontà “dispositiva” delle parti.

Com’è noto, in questi termini si era espressa, ben prima della novella anzidetta, la sentenza n. 761/2002 delle Sezioni Unite.

Di segno assai diverso la presa di posizione di Cass. civ. n. 21987/2018, secondo la quale “se è vero che il fatto non contestato è sottratto alla necessità di ogni accertamento, la non contestazione non costituisce prova legale, bensì un mero elemento di prova (Cass. n. 8708 del 04/04/2017) che può essere contrastato da quanto direttamente riscontrato dal giudice sulla base della documentazione prodotta”.

In altre partole, benché il fatto allegato da una parte non sia stato specificamente contestato dall’altra, ben può il Giudice del merito reputarlo insussistente, qualora ciò risulti provato dai documenti ritualmente prodotti in causa.

Questa linea interpretativa pare riprendere le obiezioni della dottrina, secondo cui deve ritenersi che i canoni strutturali del “giusto processo” postulino una decisione “giusta” della controversia, necessariamente fondata su un accertamento quanto più possibile conforme al vero” dei fatti controversi, impedendo quindi di vincolare il giudice ad un loro accertamento meramente formale.

Secondo questa impostazione, un fatto “non contestato” non equivale ad un fatto “provato” e la sua ontologica “verità” non è nella “disponibilità” delle parti litiganti, con la conseguenza che il giudice può e deve comunque sottoporre il fatto “non contestato” ad un’adeguata verifica tutte le volte che le risultanze istruttorie, massime documentali, lo inducano a dubitare della sua verità storica, non in tal caso essendo vincolato, per l’appunto, dalla sua mancata contestazione ad opera della parte onerata.

Come ha deciso la sentenza anzidetta l’accertamento dei fatti rilevanti ai fini della decisione per effetto della loro “non contestazione” soffre, dunque, di tale limite intrinseco.

Altre notizie