Antifrode R.C. auto: condannato per frode assicurativa il preteso danneggiato, se il danno da “colpo di frusta” è simulato

Antifrode R.C. auto: condannato per frode assicurativa il preteso danneggiato, se il danno da “colpo di frusta” è simulato
10 Settembre 2018: Antifrode R.C. auto: condannato per frode assicurativa il preteso danneggiato, se il danno da “colpo di frusta” è simulato 10 Settembre 2018

Le cause del nostro studio

Quelli che, a prima vista, potevano sembrare alcuni tamponamenti come tanti altri celavano, in realtà, una frode assicurativa.

Lo ha deciso il Tribunale di Treviso che, con la sentenza n. 770/17, ha condannato conducente e trasportati di un’autovettura che si erano resi protagonisti di molteplici incidenti stradali.

Il sistema era molto semplice (e collaudato).

Un’auto con più persone a bordo si fermava allo stop, per poi immettersi in una rotatoria, ma, percorsi pochi metri, frenava bruscamente, arrestandosi sul posto, col risultato che il conducente del veicolo che la seguiva (verosimilmente intento a controllare se dalla sua sinistra sopravvenissero altri veicoli nella rotatoria) si avvedeva di questa brusca manovra con un attimo di ritardo e, inevitabilmente, non essendo riuscito ad arrestarsi in tempo, andava ad “appoggiare” la parte anteriore del proprio mezzo contro quella posteriore di quello che lo precedeva.

Conducente e trasportati del veicolo “tamponato” scendevano immediatamente e, accerchiato il tamponante, lamentando “forti dolori” al collo, a motivo dei quali richiedevano l’invio di una o più ambulanze per farsi trasportare al più vicino Pronto soccorso.

Seguiva l’immancabile richiesta di risarcimento del danno da “colpo di frusta”.

Il Tribunale ha ravvisato in questi comportamenti il reato previsto e punto dall’art. 642 c.p., osservando che, a tal fine, “non rileva stabilire chi debba ritenersi responsabile” dei suddetti incidenti, quanto piuttosto “il contrasto tra la natura delle collisioni, di per sé inidonea a provocare lesioni agli occupanti dell’uno e dell’altro veicolo, e gli esorbitanti danni fisici denunciati, in tutti i casi, dai soggetti… coinvolti”.

Nel respingere l’obiezione difensiva “fondata sull’avvenuta constatazione medica delle lesioni”, il Giudice trevigiano osserva essere “notorio che patologie come il “colpo di frusta”, il “trauma distrattivo” e quello “distorsivo”, la “cervicalgia”, la “mialgia” e la “rigidità muscolare” non sono, il più delle volte, riscontrabili obiettivamente: la loro diagnosi si basa in prevalenza, se non in via esclusiva, sulle affermazioni del paziente e sugli atteggiamenti corporei dal medesimo assunti”.

Quest’ultimo è un dato di fatto ben noto e, tuttavia, com’è risaputo, pressoché sistematicamente ignorato in sede civile.

L’evidente discrasia tra la minimalità degli urti verificatisi e i “forti dolori” al collo istantaneamente lamentati dagli imputati, con contestuale richiesta di intervento addirittura di autoambulanze, non è sfuggita invece al Giudice penale, che ne ha sottolineato ripetutamente la teatralità nella motivazione della sentenza, osservando come, in realtà, “l’intervento dei soccorsi sanitari” non fosse giustificato da “concrete situazioni di pericolo”.

Ma l’anzidetta constatazione, secondo il Tribunale, ha trovato conferma in “altri elementi indiziari”.

Anzitutto, corroborare l’ipotesi accusatoria contribuivano la ripetitività della dinamica dei suddetti incidenti, il fatto che in tutti i casi l’inopinato e repentino arresto del veicolo non fosse giustificato dalle “condizioni del traffico” e quello che il suo conducente fosse sempre il medesimo e diversi degli imputati figurassero quali trasportati nel veicolo tamponato in più di un episodio.

La sentenza soggiunge poi che uno dei pretesi danneggiati risultava esser stato coinvolto “in altri undici sinistri con richiesta di indennizzo” in poco più di tre anni ed un altro in altri sette sinistri nell’arco di sei anni, attribuendo in tal modo dignità di indizio alla sinistrosità degli imputati.

È importante sottolineare come la sentenza non abbia ravvisato l’elemento oggettivo del reato nel fatto che gli imputati avessero deliberatamente causato gli incidenti stradali di cui al capo di imputazione, ma in una condotta completamente diversa, e cioè quella consistita “nel “precostituire elementi di prova […] relativi al sinistro”, che è un requisito specializzante della fattispecie in esame”.

Il Tribunale ha, infatti, affermato che tale condotta “ben può essere integrata dalla formazione, mediante induzione in errore del sanitario redigente, di un referto ideologicamente falso, idoneo a rappresentare circostanze difformi dalla realtà fattuale e a trarre in inganno la compagnia assicurativa” ai fini del risarcimento richiestole (e cioè idoneo a certificare una lesione in realtà inesistente).

Il sillogismo sotteso a questa motivazione si ricava dalle premesse sopra evidenziate.

Infatti, una volta constatato che la diagnosi del “colpo di frusta” da parte del medico curante (nel caso specifico quello del Pronto soccorso) si fonda sostanzialmente “sulle affermazioni del paziente” e sui suoi “atteggiamenti corporei”, la simulazione dei sintomi da parte del paziente stesso, ove sia diretta ad indurre in errore il medico, facendogli redigere un certificato ideologicamente falso, è idonea a far precostituire un falso elemento di prova dell’anzidetta lesione (e cioè quello stesso certificato).

Nel caso tale elemento di prova venga poi utilizzato per motivare una richiesta di risarcimento, si perfeziona il reato di frode assicurativa che, come ricorda il Tribunale, “è a consumazione anticipata e, pertanto, non richiede il conseguimento effettivo di un vantaggio… ma soltanto che la condotta fraudolenta sia diretta ad ottenerlo ed idonea a raggiungere lo scopo”, come da costante giurisprudenza della Cassazione penale.

In conclusione, la decisione del Giudice trevigiano si segnala per una motivazione efficacemente argomentata e particolarmente convincente con riguardo ad una casistica purtroppo assai diffusa.

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