Atti persecutori: la configurabilità della circostanza aggravante di cui all’art. 612 bis, comma 2, c.p.

Atti persecutori: la configurabilità della circostanza aggravante di cui all’art. 612 bis, comma 2, c.p.
13 Maggio 2022: Atti persecutori: la configurabilità della circostanza aggravante di cui all’art. 612 bis, comma 2, c.p. 13 Maggio 2022

IL CASO. Tizio era stato condannato in primo grado perché ritenuto responsabile dei delitti di atti persecutori e lesioni aggravate ai danni di Caia, con la quale aveva instaurato una relazione sentimentale, per averla colpita con pugni al volto, quando questa aveva manifestato l’intenzione di allontanarlo, nonché per averla ripetutamente minacciata e molestata con messaggi.

In secondo grado la sentenza veniva confermata.

Avverso tale sentenza, ricorreva però in Cassazione Tizio lamentando, in particolare, con il secondo motivo di ricorso, il vizio di motivazione manifestamente illogica quanto alla ritenuta sussistenza dell’aggravante dell’esservi una relazione sentimentale tra la vittima e l’autore dei reati. 

Il ricorrente, infatti, sosteneva che tra lui e Caia non vi fosse una relazione affettiva di ordine sentimentale come quella richiesta dalla norma aggravatrice dell’art. 612 bis c.p., poiché non vi era stata coabitazione e che tra loro sussisteva soltanto un rapporto di amicizia. Mentre, la nozione di “relazione” sentimentale contemplata dal legislatore, che determina un aggravamento del disvalore della condotta persecutoria nei confronti del partner, implicherebbe un consolidato rapporto reciproco di affidamento, non sussistente nel caso di specie.

 LA DECISIONE.  La Suprema Corte con la sentenza n. 9406 depositata il 18.03.2022 ha chiarito che “ai fini della configurabilità della circostanza aggravante di cui all’art. 612 bis, comma 2, c.p. per ‘relazione affettiva’ non si intende necessariamente la sola stabile condivisione, ma anche il legame connotato da reciproca fiducia”.

Nel caso di specie per la Corte non vi sono dubbi che “un legame tra persecutore e vittima era indubbiamente esistente, a prescindere dalla percezione della sua natura che avesse il ricorrente”.

Ne consegue, quindi, che “in tema di atti persecutori, ai fini della configurabilità della circostanza aggravante di cui all’art. 612, comma 2, c.p. per “relazione affettiva” non s’intende necessariamente la sola stabile condivisione della vita comune ovvero il coinvolgimento sentimentale con prospettive di futuro duraturo, ma qualsiasi legame di significativa frequentazione, indipendentemente dalla convivenza con la vittima, dalla stabilità e/o durata della relazione che faciliti il delitto consentendo all’agente lo sfruttamento del rapporto di fiducia della vittima nei suoi confronti”.

La Suprema Corte ha, quindi, dichiarato il ricorso inammissibile.

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