Diffamazione e diritto di satira: quali limiti sui social network?

Diffamazione e diritto di satira: quali limiti sui social network?
06 Novembre 2023: Diffamazione e diritto di satira: quali limiti sui social network? 06 Novembre 2023

La Corte di Cassazione penale, sez. V, con la sentenza 24 marzo 2023, n. 12520, affronta il delicato tema della individuazione dei confini tra il reato di diffamazione e il diritto di satira che, espressione del diritto di critica, costituisce uno dei diritti fondamentali tutelati dall’ordinamento con riguardo ai social networks.

La sentenza trae origine dalla pubblicazione di un video sul portale Youtube nel quale uno stabilimento industriale veniva equiparato ad un campo di concentramento e la figura dell’amministratore delegato a quella di Hitler.

Il Tribunale di Napoli aveva assolto l’imputato, accusato di diffamazione aggravata ex art. 593 co. 3 c.p., per insussistenza del fatto.

Viceversa, la Corte d’appello, in riforma della sentenza impugnata, appellata ai soli fini civili dalla parte civile, dichiarava la prescrizione del reato (riconoscendone, quindi, implicitamente la sussistenza) e condannava l’imputato al risarcimento del danno lamentato dalla parte civile.

L’imputato proponeva, allora, ricorso per Cassazione, deducendo il mancato riconoscimento dell’esercizio del diritto di critica ed evidenziando, in particolare, che nel video amatoriale pubblicato le proposizioni ritenute offensive all’onore e alla reputazione della vittima erano state espresse facendo riferimento ad una metafora surreale di carattere inequivocabilmente satirico.

Nell’accogliere il ricorso, i Giudici di legittimità avevano riconosciuto la sussistenza del diritto di critica, nella particolare modalità espressiva della satira, e ricordato che, in presenza di interessi contrapposti, diritto all’onore e alla reputazione da un lato e diritto alla libera manifestazione del pensiero dall’altro, spetta all’interprete procedere ad un bilanciamento finalizzato a valutare la prevalenza dell’uno o dell’altro diritto costituzionalmente garantito.

Nel caso di specie, i Giudici hanno ritenuto che “le espressioni diffamatorie non fossero finalizzate ad un’aggressione personale e gratuita, ma funzionali alla denuncia di un malcontento creatosi in ambito lavorativo”: benché aspre, quindi, le espressioni utilizzate nel video risultavano coerenti rispetto alla finalità di denuncia perseguita dal soggetto agente.

Altre notizie