Il sequestro penale di “dati informatici”

Il sequestro penale di “dati informatici”
29 Dicembre 2020: Il sequestro penale di “dati informatici” 29 Dicembre 2020

Nel corso del procedimento penale riguardante la Fondazione Open, in fase di indagine, la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Firenze, a seguito di una perquisizione effettuata nei confronti di soggetti terzi ed estranei al reato per il quale il procedimento era venuto in essere, disponeva il sequestro di documentazione cartacea, telefoni cellulari, pc portatili, dispositivi informatici, chiavette USB.

Il Pubblico Ministero conferiva incarico ad un ingegnere perché si procedesse alla duplicazione dei supporti informativi sequestrati. Il perito avrebbe dovuto selezionare il materiale probatoriamente rilevante ai fini dei reati contestati mediante una ricerca eseguita attraverso una parola chiave, con conseguente restituzione all’esito dell’operazione. Successivamente il Pubblico Ministero depositava un provvedimento con il quale disponeva che il consulente tecnico avrebbe dovuto altresì provvedere alla formazione di un’ulteriore copia integrale sulla quale la polizia giudiziaria avrebbe potuto procedere ad un esame preliminare.

Avverso detta ordinanza veniva proposto ricorso per Cassazione perché, nel caso di specie il sequestro probatorio non era finalizzato all’acquisizione di specifici dati informatici, ma di tutto il materiale in esso contenuto. Pertanto, il principale motivo di doglianza esprimeva il dissenso per una attività che, attraverso il sequestro indiscriminato di tutto il materiale informatico, invece di soddisfare il principio di acquisizione e conservazione della prova, sembrava assumere anche una funzione esplorativa rispetto alla ricerca di ulteriori e diverse fattispecie di reato.

La Corte di Cassazione, sez. VI Penale, con la sentenza n.  34265/20, ha accolto il ricorso, affermando in primo luogo che il decreto di sequestro probatorio deve contenere una specifica motivazione in merito alla finalità perseguita, tanto più rispetto alle cose pertinenti al reato, atteso che la qualificazione di “cosa” pertinente al reato presuppone l’indicazione del perimetro investigativo, della ipotesi di reato per cui si procede, della finalità probatoria perseguita.

La strumentalità del bene rispetto alla condotta criminosa ed alla finalità probatoria del sequestro è uno dei canoni della pertinenza ed assolve ad una funzione selettiva. perché deve essere garantito il controllo sulla proporzionalità del provvedimento e quindi la sua legalità e, appunto, la sua proporzionalità.

Questi due principi, ovvero quello della proporzionalità e quello della legalità, sono strumenti di garanzia che devono sussistere già al momento dell’adozione del mezzo di ricerca della prova, il cui rispetto deve essere puntualmente argomentato nel momento in cui si decide di aggredire la sfera giuridica di soggetti terzi al reato.

La sentenza sopra citata chiarisce che, la procedura più adeguata a garantire l’integrità dei dati consiste, come è noto, nella creazione di una copia-clone dell’hard disk conforme all’originale, che viene resa non modificabile attraverso appositi procedimenti. In concreto, salvo i casi in cui risulti necessario eseguire l’analisi immediata in sede di sopralluogo, il sequestro del dispositivo informatico può precedere l’attività perquirente, che si svolgerà successivamente in laboratorio ed è solitamente volta ad effettuare l’acquisizione dei dati digitali e a formare la c.d. copia forense.

Il “dato informatico”, in quanto elemento dematerializzato e indipendente dal supporto, può essere sottoposto a sequestro a prescindere dal supporto stesso in cui è incorporato, ma una volta creata la c.d. copia originale, essa non rileva in sé come cosa pertinente al reato, in quanto contiene un insieme di dati indistinti e magmatici rispetto ai quali nessuna funzione selettiva è stata compiuta al fine di verificare il nesso di strumentalità tra res, reato ed esigenza probatoria.

Ne deriva che la c.d. copia integrale costituisce solo una copia-mezzo, cioè una copia che consente di restituire il contenitore, ma che non legittima in alcun modo il trattenimento dell’insieme dei dati appresi.

La copia integrale consente di fare, dopo il sequestro, ciò che naturalmente avrebbe dovuto essere fatto prima, cioè la verifica di quali, tra i dati contenuti nel contenitore, siano quelli pertinenti rispetto al reato.

Ne deriva che, restituito il contenitore, il Pubblico Ministero può trattenere la copia integrale esclusivamente per il tempo strettamente necessario per selezionare solo quelle informazioni che assolvono alla funzione probatoria sottesa al sequestro, con conseguente restituzione della copia integrale, dal momento che un suo trattenimento realizzerebbe una elusione ed uno svuotamento della portata dell’art. 253 c.p.p., comma 1, che legittima il sequestro probatorio solo delle cose “necessarie” per l’accertamento dei fatti.

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