La Cassazione conferma che anche il silenzio “maliziosamente serbato” integra la truffa contrattuale

La Cassazione conferma che anche il silenzio “maliziosamente serbato” integra la truffa contrattuale
24 Dicembre 2018: La Cassazione conferma che anche il silenzio “maliziosamente serbato” integra la truffa contrattuale 24 Dicembre 2018

Con la sentenza n. 44228/18, la Seconda Sezione Penale della Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi in materia di truffa contrattuale.

Nel caso di specie un medico dell’ASL veniva imputata del reato di cui all’art. 640 c.p. per avere indotto in errore alcuni pazienti sul regime loro applicabile per le visite mediche finalizzate al rinnovo della patente.

In particolare, l’imputata aveva contattato telefonicamente alcuni anziani che avevano effettuato una prenotazione tramite CUP della visita per il rinnovo della patente, informandoli dell’impossibilità di eseguire la predetta visita come prestazione pubblica, e della conseguente necessità che la stessa venisse effettuata in regime di libera professione (posto che l’allora vigente articolo 115, comma 2 bis, del Codice della Strada prevedeva la possibilità per gli ultraottantenni di continuare a condurre ciclomotori e veicoli previa visita medica specialistica biennale da eseguirsi con “oneri a carico del richiedente”).

L’imputata, condannata per truffa contrattuale sia in primo che in secondo grado, ricorreva per cassazione, deducendo, tra le altre, l’insussistenza del reato contestato per inesistenza dell’elemento oggettivo degli artifizi e raggiri, posto che in tutti i casi in esame ella avrebbe comunque “comunicato al paziente, prima dello svolgimento della visita, le ragioni che ne imponevano la prestazione a pagamento”.

Inoltre, l’avvenuta esecuzione della prestazione avrebbe reso non ingiusto il profitto “considerato che quanto dal paziente versato era il corrispettivo dovuto per la visita medica svolta”.

La Corte di Cassazione, però, ha ritenuto inammissibile il ricorso, osservando come correttamente i giudici di merito avessero incentrato il disvalore della condotta in una omissione di carattere informativo, “in quanto nella rappresentazione offerta telefonicamente di volta in volta agli anziani che avevano prenotato la prestazione pubblica tramite CUP, od ai loro parenti, è appunto sempre mancata l’informazione fondamentale: che la visita era possibile in ambito pubblico, e che l’impossibilità di eseguirla in tal modo era opinamento personale del (omissis) e non deliberazione della dirigenza sanitaria od amministrativa”.

Infatti, secondo la costante giurisprudenza di legittimità, “in materia di truffa contrattuale, anche il silenzio, maliziosamente serbato su alcune circostanze rilevanti sotto il profilo sinallagmatico da parte di colui che abbia il dovere di farle conoscere, integra l’elemento soggettivo del raggiro, idoneo a determinare il soggetto passivo a prestare il consenso che altrimenti avrebbe negato (ex multis Sez. 2, n. 28791 del 18/6/2015”.

Pertanto, l’elemento oggettivo del reato di truffa è stato correttamente individuato nella condotta reticente posta in essere dall’imputata, che aveva strumentalizzato il servizio pubblico e colto come occasione il disposto letterale della norma che disciplina i rinnovi della patente, che prevede l’onere della visita a carico del richiedente, per indirizzare i pazienti a proprio vantaggio economico verso prestazioni professionali intramoenia.

Quanto poi al requisito dell’ingiusto profitto, la Cassazione ne ha ravvisato comunque la sussistenza, osservando come il reato di truffa richiede che in conseguenza della condotta sia derivato al soggetto passivo un pregiudizio di carattere economico che, nel caso in esame, è stato correttamente ravvisato “tanto nell’esborso (non obbligato) sostenuto dal paziente che nel mancato introito ad opera dell’Azienda ospedaliera da parte dell’ASL”.

Inoltre, la “natura” ingiusta del profitto “va ravvisata nella stipulazione del contratto dovuta all’omissione informativa circa la possibilità di eseguire la visita con il semplice pagamento del ticket, indipendentemente dallo squilibrio oggettivo delle relative prestazioni. Il contratto conserva, pertanto, causa illecita, in quanto la volontà di uno dei due contraenti è viziata a seguito del raggiro”.

Per tali ragioni, la Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato dal medico.

Altre notizie