La RSA non è responsabile dell’imprevedibile suicidio dell’ospite

La RSA non è responsabile dell’imprevedibile suicidio dell’ospite
19 Ottobre 2021: La RSA non è responsabile dell’imprevedibile suicidio dell’ospite 19 Ottobre 2021

Le cause del nostro studio

Con la sentenza n. 1182/2021, il Tribunale di Treviso ha escluso che l’Istituto gestore di Residenza sanitaria assistenziale (RSA) possa ritenersi civilmente responsabile del danno causato ai congiunti di un ospite il cui suicidio fosse del tutto imprevedibile.

Il parente di una anziana donna ospitata presso una RSA, deceduta a seguito di un gesto suicidario, aveva convenuto l’Istituto gestore, imputandogli di non aver esercitato su costei la custodia e la vigilanza che sarebbero state necessarie, atteso “il quadro psicopatologico in cui quest’ultima versava” e chiedendone, conseguentemente, la condanna al risarcimento dei danni subiti.

Il Tribunale ha anzitutto affrontato la questione della qualificazione giuridica della domanda attorea.

Esso ha osservato che “l’attore ha agito in giudizio chiedendo il risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale subìto “iure proprio”” e, di conseguenza, “l’azione di responsabilità svolta nei confronti dell’Istituto convenutodoveva necessariamente reputarsi “di natura extracontrattuale

Nella specie, infatti, non poteva ritenersi che fosse stato concluso “un contratto (atipico, derivante da un contatto sociale qualificato) con effetti protettivi nei confronti dei terzi,” e cioè stipulato anche a favore dei congiunti dell’ospite contraente, come chiarito da ripetute decisioni della Suprema Corte (Cass. civ. n. 6914/2012, pronunciata proprio con riferimento ad una controversia insorta fra il congiunto di un anziano ospite di una RSA e l’ente gestore di quest’ultima, e n. 14258/2020, pronunciata nei riguardi di una struttura ospedaliera). 

Pertanto, l’attore, trattandosi di un caso di responsabilità aquiliana, era onerato della “prova del fatto illecito, del danno e del nesso di causalità tra la condotta illecita ed il dannoe, specificamente, “della condotta omissiva tenuta dall’Istituto convenuto”, dovendo egli “dimostrare la possibilità da parte di quest’ultimo di prevedere l’evento suicidario” dell’ospite, “nonché la possibilità di evitarlo adottando la necessaria diligenza”.

Onere che, tuttavia, l’attore non aveva adempiuto.

Egli, invero, non aveva provato la “conoscenza da parte del convenuto dell’allegata situazione psicopatologica” dell’ospite.

In concreto, infatti, la “scheda S.V.A.M.A.” con la quale l’ospite era stata presentata alla RSA non recava “alcun riferimento ai disturbi schizofrenici allegati dall’attore”.

Ma, al contrario, “nella parte relativa alla “valutazione sanitaria”” non risultavano “barrate le caselle” inerenti alla “schizofrenia di tutti i tipi”, alla “psicosi affettiva” e tantomeno quella riferita a “tentativo di suicidio”. Con la precisazione per cui, “l’unico disturbo di natura psicologica indicato nella predetta scheda è un disturbo bipolare, per il quale è indicata la relativa terapia farmacologica in atto ed in relazione al quale, dai documenti agli atti, non risulta esserci mai stato alcuno scompenso”.

Per di più dal verbale dell’"Unità di valutazione accluso alla medesima scheda si evinceva che risultava esser stato “proposto l’inserimento” dell’interessata “proprio in una “struttura assistenziale per non autosufficienti”, non venendo fatto alcun riferimento alla necessità di un suo inserimento in altra struttura deputata all’accoglimento di pazienti psichiatrici”.

Ed, inoltre, dal diario socio-assistenziale” della RSA prodotto in atti si evinceva che l’ospitedurante gli anni di permanenza nell’Istituto [avesse] tenuto una condotta lineare, senza aver mai posto in essere alcun comportamento autolesivo, né tantomeno alcun episodio che facesse presagire un suo intento suicidario” e che “nell’ultima visita medica di controllo…  effettuata… poco tempo prima che trovasse tragicamente la morte non emergevano tratti aggressivi, né un discontrollo degli impulsi” e che “non veniva riferita intenzionalità di tipo suicidario”.

Tutto ciò a conferma che l’ospite “non aveva manifestato “alcuna volontà suicidaria… neppure poco prima del tragico evento”.

Da ultimo, il Tribunale osservava come il “Regolamento dell’Istituto convenuto” prevedesse che ““l’Ospite gode della massima libertà con le sole limitazioni imposte da suo stato psicofisico” e che eventuali limitazioni” imposte “dalla particolare situazione del soggetto ospite vengono, in ogni caso, stabilite sulla base di specifiche indicazioni del medico curante”, con la precisazione che “nella specie non vi è prova dell’esistenza di alcuna specifica indicazione medica per cui” l’ospite “dovesse essere soggetta a particolari limitazioni o a particolari forme di contenzione in ragione di un suo disturbo psichico”.

In conclusione, l’attore non aveva provato che l’asserita “situazione psicopatologica” dell’ospite fosse stata “resa nota” all’Istituto gestore della RSA, né che questa fosse si fosse manifestata in comportamenti dell’ospite stessa durante la sua permanenza nella struttura.

Ragion per cui il Tribunale ha escluso che il medesimo Istituto potesse prevedere il suo suicidio e fosse quindi obbligato ad apprestare una particolare vigilanza su di essa, concludendo che “nessuna colpa può essere allo stesso ascritta” e che, pertanto, la domanda attorea dovesse essere rigettata.

Di analogo tenore è il precedente di cui alla già citata Cass. civ. n. 6914/2012, così come quello costituito dalla sentenza n. 629/2019 del Tribunale di Ivrea (pubblicata il 05/07/2019).

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