Niente risarcimento al figlio del padre assente se non prova il danno esistenziale subito

Niente risarcimento al figlio del padre assente se non prova il danno esistenziale subito
18 Luglio 2019: Niente risarcimento al figlio del padre assente se non prova il danno esistenziale subito 18 Luglio 2019

Dopo essersene occupata di recente con l’ordinanza n. 14382/2019, che abbiamo già annotato, la Corte di Cassazione torna ad affrontare la tematica dell’illecito endofamiliare commesso dal genitore che omette di frequentare il figlio. 

IL CASO. Con atto di citazione notificato nel giugno del 2008, Tizio aveva convenuto il padre Caio dinanzi al Tribunale di Siena, chiedendone, tra l’altro, la condanna al risarcimento del “danno esistenziale in ragione della mancata presenza della figura paterna nella propria vita”. 
Il Tribunale senese aveva accolto la domanda, riconoscendo al figlio la somma di euro 100.000,00 a titolo di “danno esistenziale”. 
La Corte d’appello di Firenze, in parziale accoglimento dell’appello proposto da Caio, aveva rigettato la domanda di risarcimento del danno esistenziale. 
Avverso tale decisione Tizio aveva proposto ricorso per cassazione, in base a quattro motivi. 
In particolare, col terzo motivo aveva lamentato la violazione degli artt. 2 e 30 della Costituzione e degli artt. 147, 148 e 2059 c.c., per “avere ritenuto non provato il pregiudizio subito dal figlio in conseguenza della condotta del padre rispetto ai doveri genitoriali sia morali che materiali, per averlo privato, per lunghi anni, dell’apporto affettivo ed economico, essendo cessati i rapporti dal 2001”. 
Inoltre, aveva censurato la sentenza della Corte d’appello per aver ritenuto “sfornita di prova specifica la domanda di ristoro”, sostenendo che “la lesione era da ritenersi in re ipsa e che per la liquidazione poteva essere utilizzata la Tabella del Tribunale di Milano per l’ipotesi di una persona vittima della condotta illecita del terzo”. 
Col quarto motivo, “strettamente connesso al terzo”, Tizio aveva denunciato “l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, con specifico riferimento alla relazione dello psicologo dott. … del 20/1/2009, ritenuta inidonea dalla Corte fiorentina a comprovare le conseguenze dannose della condotta paterna diversamente da quanto opinato dal ricorrente”. 

LA DECISIONE. La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 17164/2019, ha rigettato il terzo motivo, ritenendolo “infondato”. 
E ciò perché, se è vero che “la violazione dei doveri di mantenimento, istruzione ed educazione dei genitori verso la prole non trova sanzione solo nelle misure tipiche previste dal diritto di famiglia, potendo integrare gli estremi dell’illecito civile, ove cagioni la lesione di diritti costituzionalmente protetti, e può dar luogo ad un’azione volta al risarcimento dei danni non patrimoniali ai sensi dell’art. 2059 cod. civ. (Cass. 5652 del 10/04/2012 …; in tema anche Cass. n. 3079 del 16/0272015)”, lo è altrettanto il fatto che “l’art. 2059 cod. civ. non disciplina una autonoma fattispecie di illecito, distinta da quella di cui all’art. 2043 cod. civ., ma si limita a disciplinare i limiti e le condizioni di risarcibilità dei pregiudizi non patrimoniali, sul presupposto della sussistenza di tutti gli elementi costitutivi dell’illecito richiesti dall’art. 2043 cod. civ.: e cioè la condotta illecita, l’ingiusta lesione di interessi tutelati dall’ordinamento, il nesso causale tra la prima e la seconda, la sussistenza di un concreto pregiudizio patito dal titolare dell’interesse leso”. 
Pertanto, “il danno non patrimoniale, con particolare riferimento a quello cd. esistenziale, non può essere considerato ‘in re ipsa’, ma deve essere provato secondo la regola generale dell’art. 2697c.c., dovendo consistere nel radicale cambiamento di vita, nell’alterazione della personalità e nello sconvolgimento dell’esistenza del soggetto. Ne consegue che la relativa allegazione deve essere circostanziata e riferirsi a fatti specifici e precisi, non potendo risolversi in mere enunciazioni di carattere generico, astratto, eventuale ed ipotetico (Cass. 2056 del 29/01/2018, Cass. n. 28742 del 09/11/2018)”. 
La Corte di Cassazione ha ritenuto che la Corte d’appello avesse fatto corretta applicazione di tali principi al caso di specie, evidenziando “la mancanza di una prova concreta circa l’esistenza effettiva di tale pregiudizio e non ha violato i principi in materia di liquidazione del danno morale: da un lato ha ritenuto … che il padre non aveva violato gli obblighi di mantenimento stabiliti dal Tribunale e che le frequentazioni padre/figlio erano state costanti fino al 2003 e, dall’altro, ha affermato che non era stato provato che la condotta paterna avesse prodotto danni psico/fisici nel ragazzo, rilevando che la sindrome di ansietà diagnosticata dal dott. …, su incarico della madre, era stata dallo stesso psicologo attribuita in parte all’assenza del padre ed in parte ai connotati caratteriali di [Tizio] oltre che alla elevata conflittualità della separazione dei genitori, con una motivazione … in linea con i principi in tema di danno esistenziale”. 
Con riferimento, poi, al quarto motivo, il Giudice di legittimità l’ha ritenuto “inammissibile”, perché “come riconosciuto dallo stesso ricorrente, la Corte di appello non ha omesso l’esame della relazione dello psicologo, ma la ha valutata, unitamente alle altre emergenze istruttorie, anche in maniera difforme da quella auspicata”. 

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