Per la Cassazione il “taroccamento” del chilometraggio giustifica la risoluzione della compravendita di un veicolo usato

Per la Cassazione il “taroccamento” del chilometraggio giustifica la risoluzione della compravendita di un veicolo usato
21 Ottobre 2019: Per la Cassazione il “taroccamento” del chilometraggio giustifica la risoluzione della compravendita di un veicolo usato 21 Ottobre 2019

IL CASO. Mevio aveva adito il Tribunale di Torre Annunziata, chiedendo che fosse dichiarata la risoluzione del contratto di compravendita di un’autovettura usata che “era rimasta in panne a causa di un guasto tecnico”, con condanna della venditrice Alfa S.r.l. alla restituzione del prezzo e al risarcimento danni. 
Il Tribunale aveva rigettato la domanda, rilevando che l’attore non aveva provato che “quanto accaduto fosse riconducibile a difetti dell’autovettura, piuttosto che alla normale usura del mezzo”. 
Mevio aveva, quindi, impugnato la sentenza avanti alla Corte d’appello di Napoli. 
Quest’ultima aveva, tuttavia, dichiarato inammissibile il gravame per violazione dell’art. 345 c.p.c., rilevando che l’appellante aveva “formulato per la prima volta la domanda di annullamento del contratto, allegando l’errore essenziale ovvero il dolo del venditore, consistito nel dichiarare che la vettura aveva percorso un numero di chilometri significativamente inferiore a quello reale, sostituire il contachilometri e alterare l’anno di immatricolazione della vettura”. 
Mevio aveva, pertanto, proposto ricorso per cassazione, in base a due motivi. 
Col primo motivo, aveva denunciato “violazione dell’art. 112 c.p.c. e omessa pronuncia sulla domanda di risoluzione del contratto, formulata ai sensi dell’art. 1490 c.c. nonché del D.Lgs. n. 24 del 2002 e della direttiva comunitaria1999/44/CE”, rilevando “di aver domandato la risoluzione del contratto sin dal giudizio di primo grado, sull’assunto che la vettura non fosse conforme a quella indicata in contratto, poiché aveva manifestato vizi non compatibili con lo stato di usura dichiarato al momento della vendita, e solo in seguito alla costituzione in giudizio della venditrice aveva allegato le circostanze relative al comportamento tenuto dalla predetta, che aveva fatto dichiarazioni mendaci in ordine al numero di chilometri percorsi dalla vettura e alla data di immatricolazione, oltre ad aver alterato il contachilometri”.
Si trattava, secondo il ricorrente, di “circostanze strumentali anche a dimostrare che la vettura non era conforme a quella pattuita, e pertanto la Corte d’appello avrebbe dovuto pronunciarsi sulla domanda di risoluzione, che non era stata rinunciata”. 
Col secondo motivo, Mevio aveva inoltre denunciato “violazione degli artt. 99,112 e 113 c.p.c. e art. 111 Cost., nonché omesso esame di un fatto decisivo”, contestando che, “nonostante i fatti allegati fossero i medesimi e la domanda di risoluzione fosse stata tenuta ferma, la Corte d’appello [aveva] ritenuto che l’appellante avesse domandato soltanto l’annullamento del contratto”.

LA DECISIONE. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 24855/2019, ha ritenuto il ricorso “fondato”. 
Ciò perché “dall’esame degli atti … risulta[va] confermato che il ricorrente, già attore e poi appellante, aveva formulato la domanda di risoluzione del contratto ai sensi degli artt. 1490 e 1492 c.c., per la non conformità del bene venduto con quello pattuito, e che in appello aveva argomentato anche sul dolo e sulla malafede del venditore, introducendo la domanda di annullamento del contratto. Tuttavia, la proposizione della domanda nuova, correttamente ritenuta inammissibile, non comportava il venir meno dell’originaria domanda di risoluzione, sulla quale la Corte territoriale era tenuta a pronunciare”.
Il Giudice di legittimità, nell’accogliere il ricorso, ha così cassato la sentenza impugnata e rinviato, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Napoli, in diversa composizione, affinché provveda sulla domanda di risoluzione anzidetta. 

Altre notizie