Pubblicazione di post su Facebook a carattere denigratorio: quando costituisce reato di stalking?

Pubblicazione di post su Facebook a carattere denigratorio: quando costituisce reato di stalking?
06 Aprile 2021: Pubblicazione di post su Facebook a carattere denigratorio: quando costituisce reato di stalking? 06 Aprile 2021

IL CASO. Tizio era stato condannato in primo grado per il reato di stalking, previsto dall’art. 612 bis c.p., per aver minacciato e molestato con messaggi ingiuriosi e diffamatori, sia telefonicamente che tramite Facebook, due coniugi ai quali aveva concesso in locazione un immobile “in nero”. 

Tizio aveva creato un profilo Facebook ad hoc denominato “Inquilino al nero” proprio con l’obiettivo di insultare la coppia. Tale comportamento aveva indotto i coniugi ad alterare le loro abitudini di vita ed aveva ingenerato in loro un grave stato di ansia e paura. 

In secondo grado la sentenza veniva riformata e Tizio veniva assolto dal reato di atti persecutori ex art. 612 bis c.p.c..

Avverso tale sentenza ricorreva però in Cassazione la Procura Generale, lamentando, in particolare, che la Corte aveva erroneamente negato la rilevanza dei post pubblicati su Facebook sulla scorta del fatto che la loro lettura dipendeva da una scelta deliberata delle vittime, e non dalla diffusività intrinseca dei contenuti postati sui social network.

LA DECISIONE.  La Suprema Corte con la sentenza n. 34512 depositata il 3.12.2020 ha chiarito che, per verificare la sussistenza di atti persecutori, rilevanti ai fini della configurazione del reato di cui all’art. 612 bis c.p., è fondamentale che questi si caratterizzino per la loro “invasività”, che può certamente esprimersi anche attraverso l’invio di SMS, messaggi Whatsapp e telefonate.

Nel caso di specie, però, ad avviso della Suprema Corte, mancava il requisito della invasività, trattandosi di post denigratori pubblicati su una pagina “pubblica” di Facebook senza l’indicazione di nomi e riferimenti tali da permettere in maniera inequivocabile di individuare i destinatari dei commenti ingiuriosi.

Secondo la Corte, quindi, la pubblicazione di post su Facebook su una pagina visibile a tutti gli utenti, seppure dai toni forti, ma senza indirizzarli direttamente alle vittime e la cui lettura è, quindi, rimessa alla loro volontà, fa venire meno il requisito dell’invasività, connessa all’invio di messaggi privati, che caratterizza gli atti persecutori di cui all’art. 612 bis c.p.c.

La Corte ha, quindi, rigettato il ricorso evidenziando come “mancando, nel caso de qua, il requisito della invasività inevitabile connessa all’invio di messaggi privati e, rientrando nei limiti della legittima libertà di manifestazione del pensiero e del diritto di critica la pubblicazione è legittima"

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